I frutti della cura Abenomics, la serie di manovre macroeconomiche messe a punto dal primo ministro nipponico Shinzō Abe per risollevare le sorti del Giappone, aiutano la moda italiana. Lo yen forte della prima metà dell’anno ha costretto il Paese del Sol Levante a un aumento del deficit della bilancia commerciale. E il made in Italy ne ha approfittato. Secondo quanto risulta a Pambianconews sulla base dei dati raccolti dall’ufficio Ice di Tokyo, nei primi sei mesi di quest’anno l’import di prodotti fashion dall’Italia è aumentato del 30% circa con un exploit particolare dei tessuti. E, soprattutto, l’Italia risulta il primo partner commerciale per il Giappone nel segmento dell’alto di gamma. Il made in Italy, infatti, nella lunga classifica messa a punto da Ice sui dati del ministero delle Finanze nipponico, si posiziona dopo i tradizionali Paesi del low cost, ovvero Cina e Vietnam.
In termini di numeri, nel settore abbigliamento in generale le importazioni dal Belpaese sono aumentate del 25,9% rispetto al primo semestre del 2012, raggiungendo un valori di 37 miliardi di yen (pari a 286 milioni di euro al cambio attuale), tra i migliori in crescita percentuale seppur con una quota inferiore rispetto alla cifra astronomica di 1.043 miliardi di yen di beni di abbigliamento dalla Cina (che detiene infatti una quota pari a 75,4% delle importazioni di abbigliamento nel Sol Levante). Ottime performance anche nell’ambito della maglieria esterna dove l’Italia ha messo a segno un +28,3% a 10 miliardi di yen (81 milioni di euro al cambio attuale) conquistando il quarto posto dopo Cina, Vietnam e Indonesia; in quello del menswear con 7,6 miliardi di yen (58 milioni di euro, in crescita del 19,9%) e in quello dell’abbigliamento femminile con +30% a 9,7 miliardi di yen (circa 75 milioni di euro). Nei settori a monte, bene i tessuti con un +34% a 9,3 miliardi di yen (71 milioni di euro) e i filati (+31,6% a 821 milioni di yen, poco più di 6 milioni di euro).