Skip to main content

Perché Israele risponde subito e con forza all’attacco missilistico

Lo aveva detto già ieri sera: il governo di Tel Aviv reagirà ad ogni tentativo di violazione della sua sicurezza. Così, è scattata già nella notte la rappresaglia d’Israele per i razzi lanciati ieri dal Libano meridionale contro la Galilea, uno dei quali intercettato dal sistema difensivo anti-missilistico Iron Dome mentre due si sono abbattuti al suolo in zone abitate, seppure senza causare feriti. Secondo l’agenzia di stampa ufficiale libanese Ann, l’Aviazione dello Stato ebraico ha infatti “bombardato” e “colpito in pieno” una “postazione terroristica” situata tra Beirut e Sidone, nei pressi del villaggio libanese di Naameh.

L’attacco di ieri era stato rivendicato dalle Brigate Abdullah Azzam, una fazione jihadista legata ad al-Qaeda che se ne era già attribuiti altri nel 2009 e nel 2001. La ritorsione ha però preso di mira una base del Pflp-Gc, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina-Comando Generale, gruppo ultra-radicale agli ordini di Ahmed Jibril, noto per il suo storico sostegno al regime di Bashar al-Assad in Siria (nei cui confronti proprio ieri il governo israeliano aveva rivolto pesanti accuse).

Fonti delle forze di sicurezza libanesi hanno confermato il raid, che aveva come obiettivo una rete di gallerie sotterranee tra le colline prospicienti la costa mediterranea, utilizzate dai miliziani palestinesi per i loro spostamenti: a terra è rimasto un cratere profondo circa 5 metri, ma non vi sarebbero state vittime.

“Israele non tollererà aggressioni da parte di terroristi che abbiano origine dal territorio libanese”, ha avvertito un portavoce dell’Esercito con la Stella di David, tenente colonnello Peter Lerner. In un momento storico di gravi e pericolosi rivolgimenti nell’area mediorientale, Tel Aviv non può mostrare neanche il più minimo dei cedimenti.

D’altra parte la pressione delle organizzazione jihadiste è destinata a non diminuire. Nei giorni in cui l’Egitto sembra sull’orlo della guerra civile, in Siria si sta combattendo una guerra sporca, in Yemen al-Qaeda tenta un clamoroso riscatto e in Iraq non si contano neppure più i morti negli attentati terroristici, le diplomazie di Israele e Palestina sotto l’egida del Segretario di Stato Usa, John Kerry, sono al lavoro per dare vigore ai colloqui di pace appena ripresi.

Una prospettiva che certamente non suscita grande entusiasmo nella galassia islamica più violenta e radicale.


×

Iscriviti alla newsletter