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Caso Shalabayeva, ecco perché è un problema internazionale

Pubblichiamo un articolo dell’Istituto Affari Internazionali

I dubbi e i misteri sul trasferimento forzato della signora Alma Shalabayeva e della piccola figlia in Kazakistan si stanno dipanando, rivelando quanto meno una decisione affrettata ed uno scoordinamento nell’azione ministeriale. A cominciare da quella del Ministero degli Affari esteri che doveva essere investito del caso immediatamente. Questioni del genere non sono di competenza dei soli Ministeri degli interni e della giustizia, ma anche e soprattutto degli Esteri, poiché la violazione di norme internazionali comporta la responsabilità internazionale dell’Italia.

Altre volte, come dimostrano i precedenti, gli Esteri sono intervenuti per impedire che fosse commessa una violazione. Un punto deve essere chiaro: i diritti umani non debbono essere sacrificati alle ragioni economiche (o come è stato adombrato da qualche commentatore all’interesse nazionale), anche se fosse dimostrato che i nostri rapporti economici con il Kazakistan consigliavano la consegna delle due donne.

Ricordando Öcalan
A nulla vale la revoca del decreto di espulsione quando la vittima era già assicurata nelle mani kazake. Il caso ricorda, con le dovute differenze, quello del leader curdo Abdullah Öcalan espulso dall’Italia nel 1999 e catturato dai servizi turchi in Kenya. A Öcalan fu riconosciuto il diritto di asilo “postumo” dal Tribunale di Roma, quando ormai era detenuto nelle prigioni turche, dove si trova tuttora.

Tra l’altro, nel caso Shalabyeva si è trattato non di espulsione, cioè di accompagnamento alla frontiera lasciando libertà alla persona di recarsi in qualunque Paese di sua scelta e disposto ad accoglierla, ma di vera e propria deportazione, cioè di trasferimento coatto nel Paese di origine della vittima.

Violazione di norme internazionali
Si potrà discutere se siano state violate la Convenzione del 1951 sui rifugiati, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo – in particolare il suo articolo 3 relativo al divieto di consegna di una persona ad un Paese dove corre il rischio di essere sottoposta a trattamenti inumani o degradanti – e la norma a tutela dei fanciulli, prevista da una convenzione internazionale e dallo stesso diritto dell’Unione Europea, oltre che dalla consuetudine internazionale.

Anche il Testo unico sull’immigrazione contiene una disposizione (art. 19) che obbliga le autorità a soprassedere all’espulsione se la persona corra il rischio di essere esposta a un trattamento non conforme ai diritti dell’uomo. La stessa disposizione contiene inoltre guarentigie a favore dei minori. Le posizioni sono diverse.

Tre esperti dell’Ufficio dell’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani hanno parlato apertamente di violazione dei diritti umani. Lo stesso hanno fatto alcuni internazionalisti italiani intervenuti nel dibattito come Pasquale De Sena e Francesca De Vittor. Marco Gestri, su questa Rivista ha messo in rilievo come la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che la tutela dei diritti dell’uomo in Kazakistan è migliorata e non esisterebbe un divieto generale di allontanamento verso quel Paese. Posizione che è stata fatta propria, qualche giorno fa, da un tribunale spagnolo.

La constatazione della violazione di norme internazionali da parte dell’Italia potrà essere materia per gli avvocati della signora Shalabyeva al fine di imbastire un ricorso contro il nostro Paese dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma non è decisiva ai fini della concreta attuazione del diritto della signora e della figlia di lasciare il Kazakistan.

Nessun biglietto aereo pronto
Il problema più urgente è ora individuare gli strumenti per un’azione concreta. È stato detto che il comportamento dell’ambasciatore kazako Andrian Yakemessov è stato particolarmente intrusivo e si è adombrata la possibilità di una sua espulsione. Il diplomatico di Astana a Roma ha fatto il suo mestiere e, se mai, la responsabilità è di chi si è lasciato “intrudere”.

La mossa dell’espulsione non è un’opzione, primo perché non risolverebbe il problema delle due donne; secondo perché, come è stato fatto rilevare prontamente dal Kazakistan, esporrebbe ad un’immediata espulsione del nostro ambasciatore, questo sì contrario al nostro interesse nazionale.

Non sembra neanche accettabile l’offerta di far rientrare le due donne in Italia, dietro l’impegno di riconsegnarle al Kazakistan non appena fosse richiesto dalle autorità di Astana. L’esperienza dei due Marò, attualmente a Nuova Delhi, e dei vari affidavit e della richiesta con cui le autorità indiane reclamano l’interrogatorio in India dei quattro Marò, cui era stato consentito di partire insieme alla Enrica Lexie, sconsigliano di percorrere una strada del genere.

Siamo poi sicuri che la Shalabayeva vorrebbe tornare in Italia o preferirebbe qualche altro Paese? Italia e Kazakistan sono parti del Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite. Ma come denunciare il comportamento kazako, quando l’Italia ha concorso in qualche modo nell’eventuale illecito non sanato dalla successiva revoca dell’ordine di espulsione?

È aperto il ricorso al Comitato dei diritti dell’uomo, previsto da un Protocollo opzionale al Patto, che è stato accettato dal Kazakistan. Ma si tratta di un ricorso individuale, a disposizione della signora Shalabayeva che, per i motivi sopra precisati, potrebbe chiamare in causa pure l’Italia.

Italia e Kazakistan fanno parte del Consiglio dei diritti umani, l’organismo delle Nazioni unite che ha sostituto la Commissione per i diritti umani. Una riunione d’urgenza è sempre possibile, ma è da chiedersi se questo sia l’organismo giusto per approdare a una soluzione concreta.

Soluzione Osce
A nostro parere la questione dovrebbe essere portata in seno all’Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa, Osce, di cui il Kazakistan è membro dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica. I nuovi Stati partecipanti hanno l’obbligo di accettare i precedenti impegni tra cui quelli contenuti nei documenti sulla dimensione umana adottati nelle conferenze di Vienna e Mosca e nel catalogo di diritti stabilito dalla Riunione di Copenaghen.

Tra questi viene sancito il diritto di lasciare il proprio Paese, del resto ribadito nei principali strumenti sui diritti umani. Inoltre, vi è un valore aggiuntivo, presentato dal meccanismo sulla dimensione umana che consente di sollevare un caso di tutela di diritti umani con una procedura, scandita in fasi che hanno tempi ben definiti. Nelle varie articolazioni del meccanismo, la procedura prevede anche l’invio di esperti e rapporteur. Il meccanismo ha ricevuto un’ampia applicazione verso la fine della guerra fredda e nel periodo immediatamente successivo. Potrebbe ora essere riscoperto in chiave non conflittuale, ma cooperativa.

Tra l’altro esso può essere azionato da più Stati. L’Italia potrebbe ad esempio essere affiancata dal Regno Unito, Paese che a quanto sembra aveva concesso l’asilo al marito della Shalabayeva, e dall’Austria, che ha aperto un’inchiesta sul caso, poiché l’aereo noleggiato dai kazaki per riportare le due donne in patria era immatricolato in Austria.

L’importante è tenere vivo l’interesse internazionale sulla vicenda. Questa è la migliore garanzia per impedire che siano fatti dei soprusi e che la deportazione cada nell’oblio e divenga un fatto compiuto.

Natalino Ronzitti è professore emerito di Diritto internazionale (LUISS Guido Carli) e Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali


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