Gli ultimi interventi del Presidente del Consiglio, Enrico Letta, hanno posto l’accento sull’esigenza dell’Italia di presentarsi “a testa alta” di fronte alle autorità europee. Sulla stessa linea il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Fabrizio Saccomanni.
Il calendario delle scadenze europee
Cosa si deve intendere con questa locuzione? A settembre, ci sono importanti scadenze europee, a cui si collegano scadenze italiane della stessa importanza. Il 14-15 settembre (a pochi giorni dalle elezioni politiche tedesche, 22 settembre) è in calendario la riunione dell’ECOFIN (e dell’Eurogruppo); di norma, è la riunione settembrina che precede l’assemblea annuale della Banca mondiale e del Fondo monetario (4-8 ottobre) e dovrebbe servire a coordinare le posizioni europee (che all’assise “mondialistica” arrivano quasi sempre in ordine sparso). Prima di allora, però – si sussurra nella sonnolenta Bruxelles – l’Eurogruppo potrebbe essere convocato, per il 3 o più probabilmente per l’8 settembre per una sessione straordinaria sulla Grecia. Proprio alla vigilia della riunione ordinaria ECOFIN-Eurogruppo, il 12 settembre, la Corte Costituzionale Tedesca dovrebbe esprimersi sulle compatibilità del fondo Salva-Stati, del patto di bilancio europeo e dello stesso Fiscal Compact con la Carta Fondamentale della Repubblica Federale. Il giorno precedente, ossia l’11 settembre, la Commissione europea presenterà all’Europarlamento la proposta per la creazione di un’unica autorità di vigilanza bancaria, che si spera possa essere adottata entro l’anno. L’istituzione di una supervisione centralizzata è una condizione perché il fondo Esm possa ricapitalizzare direttamente le banche, senza passare cioè per una richiesta di aiuti da parte dei Governi. In parallelo, riprende l’attività della Banca centrale europea: il Consiglio Bce del 6 settembre dovrà valutare convergenza o divergenza con le misure neo-keynesiane definite pochi giorni fa dalla Bank of England. In simultanea, in Italia inizia la preparazione della Legge di Stabilità.
Come l’Italia può affrontare i prossimi mesi
Questo calendario (la cui lettura può sembrare arida) è il solco in cui si può inserire una politica italiana per la crescita con la benedizione del resto dell’Europa. Ove ciò avvenisse – avverte la neuro economia – ci potrebbero essere importanti ritorni interni: da un lato, si riprenderebbe a respirare ottimismo; da un altro, per la prima volta in vent’anni, la politica affronterebbe problemi veri (sentiti da tutti i cittadini) e non se si è pro o contro uno dei leader in campo; da un altro ancora, si agevolerebbe la strada delle tanto difficili riforme istituzionali.
Quale potrebbe essere la politica per la crescita benedetta dal resto d’Europa. In altra sede ho analizzato la fragilità (specialmente per l’Italia) di quella che, in gergo giornalistico, viene chiamata “la ripresina”: a fronte di un aumento del Pil dello 0,3% dell’eurozona nel secondo semestre 2003, l’Italia espone una contrazione dello 0,2%, dopo avere perduto dieci punti di Pil dal 2007-2008 ad oggi.
Per uscire dalla crisi serve un “deroga” dagli obblighi europei
Il nodo centrale – lo ripetiamo da anni – è costituito dal binomio produttività- competitività. Gran parte delle misure per affrontarlo (snellimento di procedure ed amministrazione, abolizione dei “pesi morti”, riduzione del cuneo fiscale–contributivo, imprenditorialità più coraggiosa e più aggressiva, innovazione di processo e di prodotto) possono essere attuale solamente da Governo e Parlamento: la Legge di Stabilità, prima, ed il Programma Nazionale di Riforme, poi, ne sono la sede appropriata. Esse richiedono, però, un aumento dell’investimento pubblico (ormai giunto ai minimi storici) per fare crescere quella che in gergo economico viene chiamata la produttività “multi fattoriale” del sistema e risorse per intervenire sulla ristrutturazione di settori in crisi nel manifatturiero (dove c’è molto spazio per recuperare invece che di chiudere).
Questo comporta – lo sostiene da tempo l’Accademico dei Lincei Alberto Quadro-Curzio, il quale non può certo essere tacciato di euro-scetticismo – una deroga temporanea (per due- quattro anni) all’obbligo che l’indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni non superi il tre per cento del Pil. La controparte “politica” della deroga dovrebbe essere un’effettiva “spending review”, provvedimenti straordinari per ridurre il peso dello stock del debito pubblico (anche tramite privatizzazioni nel campo del “capitalismo municipale”) ed un uso accorto dei fondi europei (pure commissariando le Regioni ed i Ministeri che non si mostrano capaci di farlo).
In tal modo, si passerebbe dalle parole ai fatti.