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L’eredità politica di Francesco Cossiga

Speciale di Formiche.net a tre anni dalla scomparsa di Francesco Cossiga
L’intervento dell’economista Paolo Savona.

Cresce il numero delle persone che chiedono come la penserebbe Francesco Cossiga sulle vicende attuali della politica italiana. Qualsiasi risposta venga data al quesito sarebbe impropria e comunque inutile. A tre anni dalla Sua scomparsa è giusto chiedersi invece quale eredità di pensiero ha lasciato e se i suoi insegnamenti trovano accoglienza nei comportamenti attuali della politica.

Nonostante il quesito possa trovare più risposte opinabili, una di queste mi sembra difficilmente contestabile: egli era fermamente convinto che in politica non si dovessero lasciare vuoti di potere, perché pericolosi per la democrazia. Negli ultimi anni chiedeva insistentemente “chi comanda in Italia”, evidentemente preoccupato che il Paese fosse in balia di tutti e di nessuno. Scomparsi o neutralizzati i protagonisti della politica e dell’economia non vedeva emergere persone capaci di sostituirli al potere.

Capiva che il vuoto politico creato da Tangentopoli aveva attratto Silvio Berlusconi ma, pur mostrando simpatia per il personaggio, non riteneva che fosse la soluzione del problema, perché impreparato a fronteggiare i “poteri pieni” presenti nei paesi leader, come di fatto ha dimostrato sia atteggiandosi in modo poco ortodosso nei consessi internazionali, sia perché non era accettato dalle élite dell’economia (per non parlare dell’odio che una certa sinistra nutriva per lui, contaminando l’intera area politica). Non si fidava della Quercia di Prodi e di Veltroni, preferiva un comunista doc come D’Alema, che lo contraccambiava solo formalmente; considerava i leaderini dei piccoli Partiti inadatti a colmare il vuoto e riteneva pericolosi i tecnici, perché la politica è cosa nobile, arte e non scienza.

Come più volte ripeteva La Malfa, Cossiga riteneva la lealtà nei rapporti politici uno strumento indispensabile per convivere tra diversi ed è ciò che oggi manca. Prendiamo un piccolo esempio: il “compromesso stoico” (si proprio stoico) messo in piedi da Enrico Letta aveva un presupposto, giusto o sbagliato che fosse: quella di abolire l’Imu, un impegno di Berlusconi che aveva incontrato il consenso del suo elettorato. Chi ha aderito al Governo ben lo sapeva, eppure intorno a questo intervento si va combattendo una battaglia, solo perché cavallo di battaglia del Pdl e, invece di provvedere a coprire l’onere con minori spese, l’intero sistema politico è teso a ricercare una nuova copertura.

Sarebbe facile dire che è rimasto poco dell’insegnamento di Cossiga e che le sue preoccupazioni sul vuoto di potere si sono rivelate fondate. Proprio in un momento geopolitico piuttosto delicato, il Paese lo vive nelle relazioni internazionali, ma anche negli affari interni. Il Paese non è stato mai coeso, per molti versi non è una nazione propriamente definita. Di ciò Cossiga era cosciente, ma poteva sempre rivolgersi ad Agnelli, Cuccia, Carli, Lama per l’economia e a Berlinguer, Moro, Andreotti, Craxi per concordare scelte politiche: essi, piacessero o non piacessero, rappresentavano il potere.

Oggi l’imprenditoria nata e vissuta in Italia è sostanzialmente apolide, sia come appartenenza territoriale, sia come domiciliazione della propria ricchezza. Nessun leader dell’economia è all’orizzonte. In politica, la maggioranza parlamentare è fatta di aspiranti leader, i quali, quando salgono di responsabilità, divengono autoreferenti e si combattono tra loro, perdendo il contatto con gli elettori e chi – per cultura ed esperienza – potrebbero aiutarli. Mancano di collegialità culturale, vivono in simbiosi con la stampa e la TV ciarliera e fanno più cronaca che storia.

Cossiga faceva centinaia di telefonate al giorno e riceveva decine di persone per mantenere aggiornata la sua rete di conoscenze non per ottenere vantaggi personali, ma per decidere la sua posizione istituzionale, anche quando ha esercitato le funzioni di Presidente della Repubblica. Oggi i leaderini si cooptano a vicenda e si coprono delle responsabilità che devono accollarsi direttamente attingendo seguaci dalle istituzioni considerate di prestigio. Ma il vuoto di potere non è colmato, anzi aggravato, e le burocrazie imperversano, colmando il vuoto con la loro arroganza; questa è autorizzata dalla nobile filosofia della lotta all’evasione di cui il Governo si vanta, ma con pochi risultati e senza mai prendere impegno apertamente di restituire ciò che ottiene da questa lotta a coloro che le tasse le pagano. Sono solo alla ricerca di maggiori entrate per spendere di più. E’ una vera e propria malattia mentale che cela il vuoto di potere governativo in politica economica.

Il Governo Cossiga è l’unico che può vantare una pressione fiscale e contributiva sostanzialmente immutata e un debito pubblico stabile sul PIL. Anche questa è una piccola eredità che i successori non hanno saputo cogliere. Egli non ha accumulato ricchezze, non ha avuto brame pubbliche sulla ricchezza altrui, ma ha vissuto servendo il Paese. Lo ricordiamo anche per questo.

Paolo Savona
Professore emerito di Politica economica e Presidente del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi

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