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Ma gli 007 hanno licenza di uccidere? Riflessioni a margine del caso Abu Omar

Gli effetti giudiziari e politici della straordinaria rendition che ha riguardato l’ex imam di Milano Abu Omar non smettono di dispiegarsi nel dibattito pubblico anche se di “nicchia”.

Il fermo a Panama dell’ex capo centro Cia a Milano, Bob Lady, ed il suo rientro negli Stati Uniti ha riaperto la discussione non tanto sul merito della operazione (condannata definitivamente dai tribunali italiani e condannata politicamente con la sconfitta dei Repubblicani) quanto sul procedimento giudiziario svolto nel nostro Paese e che ha visto – caso unico al mondo – la condanna di agenti del servizio segreto Usa e nostrano.

Il caso, soprattutto dal punto di vista delle responsabilità del generale Pollari, all’epoca numero uno del Sismi, è stato snocciolato dalla giornalista Annalisa Chirico in un ebook pubblicato da Panorama.

Era seguito, proprio a margine della cattura di Bob Lady, un gustoso scambio di vedute fra il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, che aveva condotto l’inchiesta contro le intelligence colpevoli di aver rapito a fini di tortura Abu Omar, e Giuliano Ferrara, strenuo difensore della ragion di Stato.

In questi giorni la nuova puntata. L’ex agente Cia, Sabrina De Sousa (nella foto), anche lei condannata in Italia, ha fatto nuove rivelazioni – raccontate anche da Formiche.net grazie alla Chirico – circa l’effettiva catena di comando di quella maledetta rendition.

L’operazione venne voluta da Jeff Castelli, capo centro Cia a Roma e bramoso di fare carriera, e avvallata dall’allora capo di Langley, Tenet, e da Condoleeza Rice (che si presume sia stata autorizzata a sua volta dal presidente Bush). In questo contesto, proprio Bob Lady ed il generale Pollari erano i più contrari al blitz che avrebbe portato Omar in Egitto e destinato alle torture.

Intervistata dalla Stampa la De Sousa ha confermato questa tesi. È toccato quindi a Spataro rispondere alle domande del quotidiano torinese. L’autorevole ed impegnato magistrato milanese ha confermato a sua volta non solo il suo giudizio sulle extraordinary rendition (sbagliate, inutile e controproducenti) ma ha voluto indossare la toga per ricordare che le sentenze sono passate in giudicato e che per la giustizia italiana i distinguo dei singoli non hanno determinato scelte diverse e che quindi, seppur malvolentieri, sia Pollari che Lady sono stati giudicati colpevoli di aver preso parte alla pratica illegale. Sin qui la cronaca e l’esposizione del tutto legittima delle parti sin qui chiamate in causa.

Ci sono però due dettagli che vanno evidenziati e non per tornare a discutere su un processo che è, piaccia o no, concluso ma per ragioni politiche. I due dettagli sono la regolamentazione del segreto di Stato (su cui il legislatore è tornato recentemente precisandone il perimetro) e l’immunità diplomatica riconosciuta ad agenti segreti che, pur rispondendo ad ordini gerarchici, violino la legge del Paese nel quale operano.

Di tutta la vicenda Abu Omar il passaggio giuridicamente più hard (non necessariamente sbagliato, per inciso) sta nella decisione della Cassazione di ritenere gli agenti Cia non coperti da immunità avendo compiuto un reato troppo grave. Sia chiaro, la valutazione della Corte si rispetta massimamente e non si discute. Il punto, in prospettiva, è un altro: il legislatore intende preoccuparsi di colmare il vuoto che è emerso dalla sentenza del Palazzaccio?

Fin dove, come e perchè, gli agenti segreti in Italia possono godere di immunità? Hanno licenza di uccidere o solo di parcheggiare l’auto in doppia fila o magari una via di mezzo? Conoscere le regole del gioco è sempre la premessa migliore per un gioco fair. Diversamente, si può pensare che in Italia basta un occhiolino per essere “coperti” dalle autorità.

Chissà, se ci fosse stata una legge più puntuale sull’immunità, il caso Abu Omar non ci sarebbe mai stato. O no?

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