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Per il Corriere è sempre colpa di D’Alema. Anche per Mps

Una delle tante ragioni per cui forse in Italia è impossibile fare impresa sta nel diabolico corto circuito fra giustizia e media. Laddove infatti i due fili si incrociano e lo fanno lungo il terreno degli interessi economici, il big bang è assicurato.

Il capitalismo italiano è stato più modificato sotto i colpi chirurgici del machete giudiziario che da merger o acquisizioni. In questo contesto non proprio idilliaco a svolgere un ruolo guida non sono state soltanto le “bestie nere” della sinistra, cioè quotidiani come Repubblica e Fatto quotidiano, ma anche il Corriere della Sera.

Ora, se è vero che Sergio Marchionne è l’ad della Fiat che lamenta la difficoltà di guidare un gruppo industriale in Italia e che John Elkann è il presidente della Fiat che risulta di gran lunga il primo azionista dell’azienda che edita il giornale di via Solferino, dovremmo concludere – per pura logica cartesiana – che qualcosa sulla linea editoriale nel Corriere potrebbe cambiare (non necessariamente il direttore). Per ora, no. Tutto resta fedele ad una tradizione che ormai assume contorni che sfiorano il ridicolo.
I giornalisti del quotidiano milanese hanno fissa. Tutti noi l’abbiamo, per carità. Nel palazzo del Corriere ad aleggiare con continua insistenza è il fantasma di Massimo D’Alema. Non c’è scandalo vero o presunto in cui lui non sia pesantemente tirato in ballo dal Corriere. Da ultimo, proprio oggi, sulla inchiesta Mps. I pm hanno concluso l’indagine che – hanno spiegato con non aggettivabile candore – era nata dalle voci circolavano da articoli di giornale (sic, doppio sic). Bene, dopo aver ciurlato alla grande nel manico di indiscrezioni mai smentite (tanto il Csm si occupa d’altro..) circa mega tangenti di miliardi di euro, si scopre che i magistrati nulla hanno trovato e che il vertice dell’istituto senese avevano sì esagerato nelle autoretribuzioni ma senza malaffare e senza bisogno di ricorrere ad “extra”.

Questo grandissimo scandalo, che pure ha influito sia nella campagna elettorale che nelle sorti della più antica banca italiana (oltre ad aver mosso il suicidio di un innocente, una persona splendida quale David Rossi), si è rivelata una bolla scoppiata. Il Corriere che certo non ha lesinato paginate a descrivere le malefatte presunte poteva non diciamo fare un’autocritica ma raccontare come tutti – sicuramente in buona fede.. – sono caduti nell’abbaglio.

Ovviamente, nulla di tutto questo. Anzi. Tocca alla solita bravissima riproduttrice di documenti riservati di procure e forze dell’ordine, Fiorenza Sarzanini, raccontare il retroscena rivelatore. Gli esponenti del Pd che governando democraticamente gli enti locali di Siena sedevano nella fondazione Mps che a sua volta controllava la banca, incontravano i capi del loro partito chiedendo consigli sulle scelte strategiche.

E indovinate chi era il più consultato, secondo la ricostruzione giornalistica (nella realtà tutti sanno chi dava e da le carte a Siena)? Chi se non lui, il leader maximo. Poteva mancare D’Alema in tutta questa storia? Noooo, hanno risposto a via Solferino ed ecco confezionato lo scoop che mette riparo al flop dell’inchiesta vera. Con tutto il rispetto che si deve ad un quotidiano che ha autorevolezza inversamente proporzionali ai risultati economici del suo editore, sembra di leggere sempre lo stesso giallo che, pur con trame diversissime, si risolve costantemente con lo stesso colpevole.

L’assasino non può che essere il cameriere. Ed è questo, temiamo, che fa inquietare (eufemismo) D’Alema: non l’essere indicato colpevole, cosa che nel profondo lo lusinga, ma l’essere accostato al cameriere. Per lui che siede sempre a capotavola, questo è inaccettabile. Sarà per questo che al Corriere persistono nel tirarlo in ballo. Si divertiranno un mondo. L’economia italiana molto meno (certa straniera forse di più). Chissà se Marchionne ed Elkann ne parleranno fra loro.

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