L’oro nero torna nel mirino delle Borse. I trader stanno rilanciando il prezzo del petrolio sperando su grandi guadagni nel caso in cui le potenze occidentali dovessero davvero intervenire a Damasco. Sforzi tutto sommato vanificati, perché le loro mosse sono generalmente controbilanciate dall’offerta aggiuntiva dell‘Arabia Saudita, e i prezzi di conseguenza tornano a scendere. Nel frattempo però i rischi concreti all’offerta petrolifera globale arrivano da un’altra parte della Terra.
Nessuna minaccia seria al mercato del petrolio dalla Siria per ora
Il mercato petrolifero siriano, su cui adesso stanno puntando gli investitori scommettendo su un intervento di Usa, Regno Unito e Francia come risposta a un attacco ai ribelli con armi chimiche a Damasco il 21 agosto, è soggetto a un tasso di speculazione altissimo. Come sottolinea Quartz, non ci sono ripercussioni gravi adesso nell’attuale teatro di guerra. Per influenzare davvero il mercato globale, le ostilità dovrebbero estendersi anche all‘Iraq (con bombardamenti all’oleodotto di Kirkuk-Ceyhan) allo stretto di Hormuz (in cui transitano 17 milioni di barili di petrolio al giorno, un quinto dell’offerta mondiale) o l’Arabia Saudita, che “con il petrolio a 117 $, s’e’ già ripresa i soldi dati ai ribelli anti Assad”, ha chiosato il giornalista Stefano Cingolani su Twitter.
Il rischio di un nuovo record
Nonostante tutto, Société Générale ha sottolineato che un’esplosione del conflitto potrebbe causare un balzo record dei prezzi a 150 dollari al barile prima che le quotazioni tornino a scendere. La vera minaccia al mercato petrolifero infatti, che ha già causato un aumento del 16% dei prezzi da aprile nonostante un’offerta mondiale ragionevole di greggio, viene da altre crisi geopolitiche in due Stati fornitori chiave: Libia e Nigeria.
L’attacco agli oleodotti libici
In Libia, un attacco non identificato ha causato l’interruzione di oleodotti che trasportano 452mila barili, in siti dove operano anche l’italiana Eni e la spagnola Repsol. Il blocco ha aggravato gli scioperi portuali e ha ridotto l’export libico di un quinto dei livelli toccati dopo la deposizione e l’uccisione di Moammar Gheddafi. Questa banda armata vuole ora soldi e auto in cambio del ripristino del flusso petrolifero, ha fatto sapere il vice ministro del Petrolio Omar el-Shakmak.
L’export libico
La Libia, prosegue Quartz, sta esportando tra i 200 e i 300mila barili al giorno, numeri contenuti se si considerano gli 1,6 milioni di barili al giorno esportati nei mesi successivi alla fine dell’era Gheddafi.
La corruzione e i furti in Nigeria
La Nigeria invece sta vivendo una seria escalation nelle minacce al petrolio. La produzione è scesa a 1,9 milioni di barili al giorno dai 2,1 milioni del 2012, toccando il minimo degli ultimi quattro anni. Secondo gli esperti, il Paese starebbe perdendo circa 150mila barili al giorno, rubati in connivenza con esponenti del governo che permettono alla criminalità di caricare le merci per imbarcarle verso altri mercati. Secondo le stime, la Nigeria avrebbe perso circa 10,9 miliardi in vendite di greggio dal 2009 al 2011, scompensando così il mercato globale.