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Piacere, sono la prof. madre dell’Erasmus

Sofia Corradi è Professore Ordinario di Educazione degli adulti (Lifelong learning) nella Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Statale degli Studi Roma Tre. Ha compiuto studi e ricerche presso l’Accademia di Diritto Internazionale dell’Aja, l’UNESCO (Parigi) e la London School of Economics. Per più di venti anni è stata Direttore Scientifico dell’Ufficio Studi della Conferenza dei Rettori (CRUI). Scrive per La Repubblica, il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore, La Stampa e varie riviste specializzate italiane ed estere.

La madre dell’Erasmus

Sofia Corradi è stata una delle prime persone che in Italia e in Europa ha creduto nell’importanza di riconoscere formalmente gli studi compiuti all’estero. Ma soprattutto ha creduto nella necessità di dare a chiunque la possibilità di crescere e formarsi in un ambiente interculturale e interlinguistico, non limitando l’esperienza alle sole famiglie più abbienti.
Dopo un anno di studi negli Stati Uniti, finanziato con una borsa Fulbright e una serie di esperienze alle Nazioni Unite e presso le Conferenze dei rettori europei, nel 1969 la Corradi inizia un difficile percorso che in 18 anni avrebbe portato alla creazione del Programma Erasmus. La sua battaglia inizia nel 1969 con un promemoria intitolato “Equivalenze di anni di studi universitari compiuti da studenti italiani presso università straniere”, redatto a seguito della quarta Assemblea Generale della Conferenza dei Rettori Europei svoltasi a Ginevra dal 3 al 6 settembre 1969. Il percorso prosegue negli anni ’70 e ’80 con una serie di riunioni bilaterali italo-tedesche e italo-francesi, incontri multilaterali, rapporti e risoluzioni europee. L’approvazione definitiva del programma Erasmus arriva nel 1987 con la ratifica del Consiglio dei Ministri nella riunione del 15 giugno 1987.

Prof.ssa Corradi, qual è stato l’ostacolo più grande che ha dovuto affrontare in questo suo percorso?

Sicuramente quello di ottenere il riconoscimento automatico degli studi all’estero durante un regolare percorso universitario di studi. Senza il riconoscimento, erano poche le famiglie che potevano mantenere un anno in più agli studi i propri figli, il tempo necessario per fare un’esperienza all’estero.

Quali sono i vantaggi di un periodo di studio all’estero?

Tra i vantaggi vi è la possibilità di inserirsi in un ambiente amichevole nel quale coltivare relazioni positive di affetto e amicizia. Uno studente straniero è infatti avvantaggiato rispetto ad un emigrato. Si fa così l’esperienza di contattare una cultura diversa in modo amichevole. Normalmente è un’esperienza non piacevole quella di essere in minoranza. Ma in Erasmus questa sensazione non viene mai avvertita.
Inoltre, in Erasmus si impara a chiedere aiuto e a ottenerlo. Quante volte avremmo ottenuto aiuto se lo avessimo chiesto in modo efficace? In Erasmus si ha la sopresa di ricevere aiuto da persone che sono poco più che delle conoscenze.

Ci sono aspetti critici legati all’Erasmus?

Io avevo sognato che in Erasmus ci andassero l’80%-90% degli studenti europei, invece la percentuale è molto più bassa, si parla di circa il 5%. L’Erasmus ha perciò il difetto di essere poco generalizzato. È importante che ci si adoperi affinchè gli aspetti positivi del programma incidano sull’intera opinione pubblica e non su una ristretta cerchia di studenti. Un’opinione pubblica pacifista non può non avere effetto sulle decisioni politiche della classe dirigente. L’Erasmus deve essere diffuso ancora di più, dovrebbero esserci più borse di studio.

A proposito di borse di studio, una delle maggiori lamentele riguarda proprio il loro basso livello. La media mensile europea percepita da uno studente Erasmus è di 250€. C’è una soluzione a questo problema?

Effettivamente le borse Erasmus non riescono a coprire tutte le spese del soggiorno all’estero. In tal senso è importante che chiunque ne abbia la possibilità si adoperi in modo tale da aggiungere alle borse di studio UE delle somme tali che garantiscano autonomia allo studente Erasmus. Associazioni, aziende, consorzi, enti locali sono solo alcuni tra i soggetti che in prima persona possono cotribuire a rinforzare la mobilità degli studenti.

Parlando di aspetti finanziari, qualche mese fa si pensava che il programma Erasmus fosse in pericolo a causa di assenza di fondi. Qual è la situazione attuale del budget UE destinato all’Erasmus?

Nel gestire i programmi Bruxelles ha una certa elasticità, potendo spostare somme tra i bilanci annuali. Nel 2012 effettivamente sono stati spesi più soldi di quelli a disposizione. Invece, per quanto riguarda il nuovo bilancio settennale 2014-2020, la Commissione Europea aveva addirittura proposto di raddoppiare le cifre del finanziamento. In un momento di crisi e spending review come quello attuale, tale proposta ebbe effetti molto forti all’interno delle istituzioni e si decise così di ridurre l’entità dell’aumento destinato al programma erasmus. Conti fatti però il budget dell’Erasmus è stato aumentato di circa il 40% rispetto agli anni precedenti. L’Europa sta così investendo sull’educazione, a dispetto di quanto molti credono.

Il continente europeo è caratterizzato dalla sua diversità. Non a caso il motto dell’Unione Europea è “Uniti nella diversità”. Cosa pensa lei di questo elemento?

È un’immensa forma di ricchezza, che appartiene a ognuno di noi. Non è nel monologo che si sviluppa la creatività. Le idee nuove avvengono quando tra persone, fra loro diverse, si sviluppa un dialogo. Più sono rappresentate diverse culture e più ciascuno contribuisce a mettere in luce degli aspetti su cui gli altri non si erano soffermati. Oggi l’elemento produttivo di crescita è la multiculturalità.

E se dovessimo invece parlare di elementi che accomunano gli europei e che contribuiscono a strutturare la forza dell’Unione Europea verso l’esterno?

Ad essere sincera non mi sono mai molto preoccupata che l’Europa debba avere una forza verso l’esterno. Qualcuno parla di un’Europa più forte, più competitiva, che si faccia valere come grande potenza mondiale. A me questi discorsi risultano un po’ estranei.
Ciò che mi sembra preziosissimo dell’Europa è la sua caratteristica di potere essere un laboratorio per una coltivazione dei bacilli della pace interculturale. Da un lato l’Europa è diventata più piccola e le culture sono diventate più simili, ma certo non identiche. Per questo siamo un laboratorio perfetto per coltivare la pace e raccontare poi agli altri come si fa. Perciò la vecchia Europa ha da insegnare l’Erasmus, ha da insegnare la cultura della pace.

A proposito dell’esportazione del Programma Erasmus, cosa ne pensa della proposta presentata al Parlamento Europeo nel 2011 per l’estensione del programma ai paesi del Mediterraneo?

Nessuna iniziativa può essere migliore. L’Erasmus in Europa ha prosperato e ha reso frutti abbondanti perché lo scambio è avvenuto tra università diverse ma non così tanto. E se si pensa, i paesi della sponda sud del Mediterraneo e i paesi del Medio Oriente non sono poi così lontani. Il bacino del Mediterraneo ha sempre avuto una sua unità, sin dall’epoca preistorica.

Nell’incontro tra la cultura musulmana e il mondo europeo-occidentale crede che potrebbero esserci ostacoli?

Assolutamente no. Chi va in Erasmus ci va in minoranza, si inserisce in un ambiente diverso ed è lui stesso il primo ad avere la curiosità di imparare. Per cui, nell’attivazione di scambi tra studenti e università del bacino del Mediterraneo, non vedo difficoltà maggiori rispetto a quelle vissute in Europa negli anni ’80.

In uno scambio tra studenti arabo-palestinesi e studenti israeliani crede potrebbero sorgere problemi?

Sono convinta di no. I singoli sono propensi alla pace. L’ostacolo sarebbe semplicemente lo stesso che c’è stato nei paesi europei: la burocrazia rigida. Non dimentichiamo che gestire un programma erasmus comporta una certa fatica organizzativa da parte delle singole università. La chiave di tutto, il lubrificante che ha reso fluido il meccanismo dell’erasmus, è dato dal “criterio della stima e della fiducia reciproca tra le istituzioni di istruzione superiore dei vari paesi”. Mi piace ricordare alcune parole di un documento redatto nel giugno 1989 presso la Villa Vigoni (Menaggio, Lago di Como) a seguito di un incontro italo-tedesco tra rettori, mirato a promuovere gli scambi Erasmus. Si tratta di un documentato datato ma tuttora molto attuale: “i principi operativi per il riconoscimento accademico si sintetizzano nelle parole fiducia reciproca, flessibilità, pragmatismo e visione d’insieme”.Insomma, un Erasmus nel Mediterraneo è possibile ed esso può e deve partire dalle università stesse.

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