La nomina dei senatori a vita è arrivata, inaspettata nel numero (quattro, invece di due di cui si era sempre parlato sui giornali) e nei nomi (tutti provenienti dal mondo della cultura e della scienza).
Il presidente della Repubblica ha parlato di “serena continuità istituzionale”. Ha cioè preferito non introdurre elementi che avrebbero potuto portare nuove polemiche, sia dalle file dell’opposizione (Grillo) che da quelle particolarmente preda di confusione della maggioranza.
Pur rispettando e apprezzando le personalità indicate dal Capo dello Stato, non si può non esprimere il rammarico nel constatare la impossibilità di chiudere “pacificatamente” la fase della Seconda Repubblica.
Francesco Cossiga, preconizzando dall’alto del Quirinale, la crisi della Dc volle offrire il privilegio dello scranno perpetuo a Giulio Andreotti, uomo simbolo di quel partito.
Naturalmente, il contesto giudiziario e politico impediva a Napolitano di prendere in considerazione l’ipotesi di Berlusconi ma quella di premiare l’uomo del dialogo, la colomba per eccellenza, colui che ha incarnato il lato istituzionale del centrodestra, quella sì era una ipotesi teoricamente sostenibile.
Il nome di Gianni Letta era comparso ancora questa mattina sulle colonne del Corriere della Sera come possibile beneficiario della scelta di senatore a vita. Il suo nome sarebbe stato affiancato, in quel caso, a quello di un’altra personalità del centrosinistra (Emanuele Macaluso o, ipotesi più “hard”, Massimo D’Alema).
Il significato politico sarebbe stato di un valore enorme ma anche le conseguenze non sarebbero state irrilevanti.
Immaginando la quantità industriali di polemiche e veleni, Napolitano ha scelto di privilegiare la “serena continuità istituzionale”.
Ha confermato, se ce n’era bisogno, che sulla politica italiana e sul Colle sventola ormai “bandiera bianca”.