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Perché Shell fa marcia indietro sullo shale gas americano

Nessun miracolo shale gas. Gli utili di Royal Dutch Shell sono calati del 57% nel secondo trimestre e l’ad uscente Peter Voser si è lamentato dei “deludenti” risultati legati proprio alla svalutazione di asset dello shale gas e per i conflitti in Nigeria. Dati che sembrano ridisegnare i piani di Shell sul fracking americano, e mettere in dubbio il sogno dell’indipendenza energetica a cui si è affidato anche il presidente Usa Barack Obama.

Il commento di Voser

“Alti costi – ha spiegato Voser – oneri esplorativi, negativi cambi valutari e i problemi in Nigeria ci hanno danneggiati”. Negli ultimi anni, i colossi petroliferi sono stati ammaliati dallo shale gas statunitense. Fino ad oggi. La Royal Dutch Shell infatti, spiega il Financial Times, ha sorpreso il mercato ieri con una perdita di 2,1 miliardi di dollari, per lo più causata dagli asset del Nord America.

La riflessione sul futuro dello shale gas

I dati mostrano che i risultati delle trivellazioni di Shell nelle sue proprietà americane sono stati peggiori del previsto. “I sostenitori dello shale gas prendano nota”, ha scritto Oswald Clint del Bernstein Research. La notizia infatti impone una riflessione per un settore abituato a titoloni ottimistici sui giornali. La produzione di shale gas in zone come Bakken, nel Nord Dakota, è cresciuta così rapidamente che ha ribaltato il declino petrolifero statunitense, che durava ormai da decenni, riducendo la dipendenza del Paese dalle importazioni petrolifere e riaccendendo il dibattito sul dominio energetico Usa. Ma la notizia di Shell mostra come la retorica sulle potenzialità dello shale gas possa poggiare su basi a volte incerte, una visione che l’ad Voser sembra appoggiare. “L’idea di una shale revolution che parte dagli Usa per diffondersi nel mondo è un po’ montata”, ha detto Voser.

Le prospettive americane di Shell

Le perdite di Shell non sono certo una novità. Un gruppetto di società, comprese Bhp Billiton e Bg Group, hanno rivisto al ribasso i loro asset relativi allo shale gas Usa lo scorso anno, quando il basso costo del gas americano ha ridotto il valore delle loro riserve. I dati shell evidenziano però un problema maggiore per Shell: le scarse performance del suo business Upstream Americas. Shell è caduta sulle perdite del secondo trimestre, dicendo che la situazione potrebbe restare tale per il resto dell’anno, e forse anche più a lungo. Duri gli analisti di Credit Suisse, secondo cui le performance di Shell nella divisione Upstream (esplorazione e produzione) sono “davvero preoccupanti”.

Gli investimenti in America

Da quando l’industria petrolifera ha iniziato ad usare il fracking e le trivellazioni orizzontali per estrarre gas dal sottosuolo, la storia dello shale gas ha sempre avuto un fascino irresistibile per i colossi del settore.
E Shell ci ha creduto particolarmente. Nel 2008 ha pagato 5,7 miliardi di dollari per l’acquisto di Duvernay Oil nel Canada occidentale, e due anni dopo 4,7 miliardi per East Resouces. Shell spiega ora che il suo portafoglio gas onshore include circa 3,5 milioni di acri di diritti minerari, con una raccolta potenziale equivalente a 7 miliardi di barili di petrolio.

Una produzione deludente

Ma alcuni analisti sostengono che Shell ha pagato un prezzo eccessivo per garantirsi l’accesso al settore. Un’esposizione così ampia ha mostrato la sua doppia faccia nel 2012, quando l’offerta di shale gas ha spinto i prezzi al minimo degli ultimi dieci anni. Il chief financial officer Simon Henry, commentando i risultati dell’esplorazione nel mercato Usa, ha detto che “la curva di produzione è meno positiva” di quello che potesse attendersi. Ad oggi Shell produce solo 50mila barili al giorno da queste proprietà, ha spiegato.

La revisione dei piani Shell

La major anglo-olandese, prosegue il Financial Times, ha quindi lanciato una revisione del suo portafoglio shale nell’America del Nord, con l’obiettivo di dimezzare il numero delle aree dove opera. Voser ha dichiarato che la società intende cedere le proprietà troppo piccole, “non della dimensione che cerca il gruppo”. Spinta forse dalle cattive notizie americane, Shell ha comunicato una riduzione dei suoi obiettivi produttivi nel medio termine. Una notizia che, però, non sembra turbare gli analisti. “Non ci crede nessuno”, ha commentato Neill Morton di Investec.

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