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Siria, tutte le incognite di un intervento militare

Sale la tensione in Medio Oriente, dove gli Stati Uniti meditano di condurre un attacco contro il regime siriano, accusato dell’uso armi chimiche contro la popolazione civile. A far maturare la decisione, tuttavia ancora in bilico, sono state le prove dell’intelligence israeliana e le testimonianze di Medici Senza Frontiere, l’ong presente sul posto durante gli attacchi. Ad unirsi agli Usa sono per il momento Francia, Turchia e Regno Unito, con il governo di David Cameron che proprio in queste ore ha deciso di frenare, continuando a ritenere necessaria una risposta ma attendendo che sul tavolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite arrivi il rapporto degli ispettori che stanno indagando sugli attacchi con armi chimiche in Siria. Dall’altro lato, l’opposizione di Russia, Iran e Cina a un intervento di Washington rende incandescente il clima internazionale.

Chi è a favore e chi contro l’intervento

Janiki Cingoli, direttore del Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente (Cipmo), ricorda che il governo britannico ha presentato una bozza di risoluzione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che autorizzerebbe le misure necessarie, in base al capitolo 7 della Carta dell’Onu, per proteggere i civili contro le armi chimiche.

I Paesi pro e contro l’intervento?  Russia e Cina, come detto, si oppongono. Gli Stati appartenenti alla coalizione interventista (Usa, Francia, Regno Unito e Turchia) annunciano di voler andare avanti lo stesso, mentre la Lega Araba si è schierata contro Assad senza avallare l’intervento militare. La Germania spera in una soluzione politica e l’Italia ha condizionato la sua adesione all’approvazione dell’Onu.

Obama non è Bush

Per Cingoli l’operazione avviene in un “clima vagamente surreale”. “Vengono ovviamente in mente gli annunci sulle armi non convenzionali in Iraq, ai tempi di Saddam Hussein, rivelatesi poi inesistenti. Certo Obama non è Bush, e non pare particolarmente desideroso di menare le mani. Quanto a Francia e Germania, dopo le brillanti prove fornite con l’intervento in Libia, non c’è da stare molto tranquilli”, ha scritto.

Gli obiettivi dell’intervento

È confermato che l’azione militare non cercherà il cambiamento del regime siriano. Secondo l’analisi del direttore del Cipmo tra gli obiettivi non c’è neanche il sostegno ai ribelli. Nelle milizie dell’opposizione comandano i gruppi più estremisti legati ad Al Qaeda. Quelli più moderati, vicini alla Fratellanza Musulmana, si sono indeboliti dopo il colpo di Stato in Egitto.

Con l’intervento militare “probabilmente si vuole solo indebolire un po’ Assad, costringendolo a non ricorrere ancora alle armi chimiche, ma senza accelerarne troppo la caduta. Ma questa non è una politica”, ha scritto Cingoli.

Una politica per la Siria

Dopo i tentativi degli Stati Uniti e la Russia di cercare una soluzione politica al conflitto c’è da chiedersi – secondo Cingoli – se l’uso di armi chimiche non sia uno strumento del regime siriano per aumentare le tensioni e scongiurare un accordo politico che avrebbe comportato l’allontanamento dal potere di Assad.

“L’unica strada percorribile è quella di un governo di unità nazionale di transizione, che includa sunniti, alawiti e cristiani, sul modello seguito in Yemen”, sostiene il direttore del Cipmo.


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