Si dice che sia normale nell’era del capitalismo finanziario europeo e mondiale.
Tuttavia è doveroso ricordare le tappe nefaste che ci hanno portato a tale situazione:
Giuliano Amato, assurto da pochi giorni alla toga della Corte Costituzionale, nel 1992 avvia la privatizzazione della Banca d’Italia, che sarà conclusa da Romano Prodi nel 2006. Con un Banca d’Italia privatizzata al 96% nelle mani delle grandi banche indebitate, la stessa funzione di controllo ricondotta a un soggetto controllore-controllato viene, di fatto resa, quanto meno discutibile. Ne sanno qualcosa le banche popolari e di credito cooperativo dalle quali le dominanti hanno saputo drenare le loro risorse con il benestare della Banca d’Italia, a copertura del debito pubblico da loro posseduto.
Dopo il trasferimento di proprietà delle principali griffe del lusso ai francesi, il passaggio del controllo di proprietà di Telecom agli spagnoli e dell’Alitalia ai franco-olandesi, non è solo la dimostrazione del nuovo capitalismo trionfante, come troppo disinvoltamente l’On D’Alema ha affermato ieri, forse per mettere una pietra sopra la vexata quaestio della svendita Telecom agli amici della sinistra, ma il segnale di una condizione prefallimentare dell’Italia.
È giunta l’ora di discutere senza pregiudizi sul nostro modo di partecipare all’Unione Europea e su come, dopo Maastricht, è stata gestita la vicenda dell’euro. Continuando sull’attuale strada la bancarotta sarà inevitabile.