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Avio, Finmeccanica e la bussola di Bussoletti

Caro direttore,

mi permetta anzitutto di complimentarmi con lei e con la sua redazione per la capacità di scegliere titoli mai banali per i vostri articoli, che catturano l’attenzione del lettore. Un caso di scuola è, a mio parere, l’intervista rilasciata dal professor Ezio Bussoletti: “Ecco perché si può essere liberisti anche proteggendo Avio e Finmeccanica”. Un titolo che fa sobbalzare sulla sedia, senza dubbio. Per fortuna, la lettura del testo sottostante mi ha rassicurato: in nessun passaggio dell’intervista Bussoletti cerca di far rientrare le sue posizioni interventiste in materia di politica industriale nell’alveo del pensiero liberale. Non credo peraltro che potrebbe farlo: quelle del dirigente di FARE e membro del CdA dell’Agenzia Spaziale Italiana sono posizioni legittime e non prive di argomenti, ma chiaramente non ispirate al principio dell’astensione della mano pubblica dalle dinamiche del mercato. Ancora complimenti, dunque: il titolo ha indotto alla lettura il sottoscritto e tanti altri, facendo da efficacissimo specchietto per le allodole!

Ciò detto, non intendo in alcun modo commentare o replicare a Bussoletti: non c’è dialogo possibile tra chi vive su Venere e chi vive su Marte, cioè tra chi ritiene che la regolazione pubblica è opportuna e desiderabile quando si limita a tracciare il perimetro delle regole entro cui la competizione tra attività economiche si realizza e chi alla regolazione affida invece compiti diversi, come la “salvaguardia dell’italianità”. Le confesso un mio deficit cognitivo: non capisco il concetto di “italianità”, non saprei trovarne una definizione adeguata. Tutti ne parlano da anni, ma nessuno lo spiega. A quel che ho capito, non ci si riferisce alla natura pubblica di un’azienda: Telecom Italia è privata da molto tempo, di Alitalia è stata (a quanto pare) tutelata l’italianità grazie al fatto che a rilevarla dal Tesoro sia stata una cordata di capitani d’impresa nostrani. Ancora, le vicende penali che hanno in passato investito Telecom Italia (lo scandalo Telecom-Sismi, chiuso tra l’altro con il patteggiamento della stessa Telecom) ci dicono in modo palese che italianità non è affatto sinonimo di sicurezza.

Dal caso Avio Spazio deduco poi che si può tutelare questa famigerata italianità anche nei confronti di un’impresa il cui controllo è già di proprietà estera o comunque internazionale: la società è infatti già all’81% nelle mani del fondo d’investimento Cinven. E’ quindi sufficiente il 15% (la quota di Finmeccanica in Avio Spazio) perché questa italianità sia salvaguardata? Un’altra questione che mi lascia perplesso ha natura quasi “morale”: se Telefonica acquista Telecom Italia s’invoca la tutela dell’italianità, eppure accettiamo di buon grado il sopruso italico sulla “spagnolità” di Endesa (azienda elettrica iberica controllata da Enel). Facciamo agli altri ciò che non vogliamo sia fatto a noi? Sono confuso e mi arrendo, in attesa che qualcuno più competente faccia finalmente chiarezza su questo benedetto concetto di italianità.

Spero davvero che italianità non sia in alcun modo sinonimo di quel capitalismo relazionale e predatorio, di Stato o protetto dalla politica, di cui il Paese ha spesso mostrato esempi crudi e nefasti. Riflettendoci, egregio direttore, proprio questo capitalismo sciancato frena la competitività e l’innovazione dell’economia italiana, inibendo la nascita di altre e nuove Avio. Fortunato quel Paese in cui tutte le imprese sono importanti, ma nessuna troppo!

La ringrazio per lo spazio che eventualmente mi vorrà concedere.

Con stima,

Piercamillo Falasca

semplicemente un liberale

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