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Benvenuti in Italia, il Paese delle riforme mancate

Questo commento è stato pubblicato sull’Arena di Verona

Quando si tagliano mille sedi giudiziarie in un colpo solo, gli errori non sono possibili: sono sicuri. Così come sicuro è il nuovo disagio a cui andranno incontro, soprattutto nei primi tempi, gli avvocati, i magistrati, il personale degli uffici e in particolare i cittadini dei luoghi senza più un tribunale dall’oggi al domani. Comprensibili, dunque, le ragioni che in queste ore in varie parti d’Italia animano le proteste e le preoccupazioni di quanti si sentono colpiti dal provvedimento nazionale in vigore.

Anche se c’è modo e modo di protestare, e minacciare di darsi fuoco se il governo non bloccherà questa novità, non è la maniera più corretta di reagire. Ma al di là del legittimo dissenso e del diffuso malcontento, resta il fatto che non è possibile reclamare riforme ogni giorno che passa e poi, quando la riforma arriva, fare le barricate per impedirla. Non è possibile, oltretutto, quando tale riforma riguarda un settore-cardine che finora non ha dato grandi prove né di efficienza né di “giustizia giusta” per i cittadini, nonostante la presenza di queste mille sedi giudiziarie che adesso saranno accorpate ai tribunali principali per evidenti esigenze di risanamento.

Con le piccole, ma vigorose ed estese rivolte contro il “taglia-tribunali” applicato da questo governo, ma deciso da quello precedente, esplode anche la vera contraddizione politica e sociale che da troppo tempo affligge l’Italia: parlare sempre di riforme, ma non farle mai. E se per caso una riforma va in porto, ecco che si mobilitano quelli che temono di perdere qualcosa del loro particolare, ignorando l’effetto benefico che invece la rinuncia potrà avere in termini generali.

È un po’ la filosofia, rovesciata ma identica, de l”importante è che non si faccia nel giardino di casa mia. Qui, invece, si pretende l’opposto, cioè che non si privi il proprio giardino di un beneficio considerato inamovibile, anche se tale beneficio è stato, nell’interesse di tutti, semplicemente spostato qualche chilometro più in là.

Intendiamoci, fra gli interessi localistici e corporativi non mancheranno buone ragioni e ragionevoli riflessioni che il governo ha il dovere di prendere in considerazione. Ma il principio, i numeri e gli obiettivi di questa prima e pur timida riforma della giustizia non devono venir meno. Fare di giorno e disfare di notte sarebbe un pessimo segnale: miopia al momento della scelta politico-organizzativa e mancanza di coraggio al momento d’applicarla. A volte l’impopolarità del campanile è necessaria nel superiore e solidale interesse nazionale.

Se il governo crede d’aver fatto la cosa giusta, ora ha il compito di spiegarla, di difenderla ed eventualmente di apportare qualche piccola correzione. Senza però vanificarla.

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