Enrico Letta parla un ottimo inglese, ma il suo francese proprio non si distingue da quello di uno dei quei parigini che risiedono da sempre nel sedicesimo arrondissement, tra Place Wagram, Avenue Victor Hugo e Rue de La Pompe. Ha fatto le scuole elementari a Strasburgo, dove viveva la sua famiglia. Dato che ha fatto le secondarie superiori in Italia non ha probabilmente letto “La guerre de Troyes n’aura pas lieu” (“La guerra di Troia non si farà”) di Jean Giraudoux che, nel 1935, con Lous Jouvet come protagonista anticipò, per certi aspetti, la catena di avvenimenti, un po’ casuali un pò intenzionali che portarono allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Certamente Letta non ha neanche visto l’allestimento che la compagnia di Diego Fabbri (uno dei pochi intellettuali cattolici allora nel mondo dello spettacolo) portò in giro per l’Italia nel 1964-67. Nella pièce, tutti pensano che si possa fare un accordo, soltanto “rinviando un po’ di più” i temi di fondo quando una freccia impazzita, e partita per caso, scatena il conflitto La vicenda è semplice. I troiani e gli achei avevano portato la trattativa per le lunghe (sperando che Paride ed Elena si stancassero l’uno dell’altra, e nel contempo, che a Menelao, riavuta la moglie, le corna non pesassero poi più tanto). L’accordo pareva ormai raggiunto tra tutte le parti in campo. Si festeggiava, si esultava; lassù, nell’Olimpo, gli Dei gustavano il nettare più prelibato pensando che ormai la guerra fosse evitata . Partì, però, all’improvviso, la freccia . Ed iniziò così la prima vera guerra mondiale – quella cantata da Omero.
“La guerre de Troyes n’aura pas lieu” è un testo magnifico, che demolisce tutte le possibili giustificazioni della guerra assurda ( e delle crisi assurde), in cui c’è un’Andromaca che nota come “quando c’è la guerra nell’aria, tutti imparano a vivere in un nuovo elemento: la falsità”, e un Ettore che se la prende col diritto come “la più possente delle scuole dell’immaginazione: mai poeta ha interpretato la natura così liberamente come un giurista la realtà”. Frasi che suonano eloquenti oggi.
Se Letta lo avesse letto, avrebbe evitato di mettere i due piedi nel trappolone tesogli dal partner-avversario. Come ne “La guerre de Troyes n’aura pas lieu, le dimissioni in bianco di quasi tutti i deputi e senatori del Pdl avevano come obiettivo che la pertinente Commissione Senatoriale si rivolgesse alla Corte Costituzionale per verificare le costituzionalità o meno della Legge Severino – in breve, guadagnare tempo – anche perché (come sostiene Ettore) il diritto è “la più possente delle scuole dell’immaginazione”.
Ma in un’atmosfera in cui (come dice Andromaca) si è introdotta ‘la falsità’ , non sono state prese sul serio le ripetute affermazioni secondo cui non si intendeva fare cadere il Governo proprio perché i ministri Pdl sarebbero stati i pasdaran in difesa della tregua tributaria per i tartassati italiani. Senza il clima di guerra, sarebbe stato approvato il decreto con i provvedimenti per non far scattare il primo ottobre l’aumento dell’Iva e non è detto che non si sarebbe trovato un meccanismo per fare contenti capra e cavoli il 4 ottobre.
Ora la frittata è fatta. E’ possibile (ma difficile) che il Governo Letta trovi nuovi Ministri e un po’ di alleati in Senato. Si tratterebbe comunque di un esecutivo fragile, retto da una maggioranza precaria che potrebbe, nella migliore delle ipotesi, giungere ad una nuova legge elettorale e ritardare di qualche mese la chiamata alle urne. Quale che sia l’esito puntuale di quanto avverrà nei prossimi giorni, nell’immediato futuro voleranno accuse (ed insulti) a destra ed a sinistra. E il ceto politico perderà quel poco prestigio che pensa ancora di avere.
Dalla George Mason University, nei pressi di Washington, il Prof. Masci (esule volontario dall’Italia) mi ha inviato con un breve calcolo: se negli Usa il rapporto tra eletti e popolazione, il Congresso avrebbe 4805 inquilini tra ‘Rappresentanti’ e Senatori’; se in Italia si seguissero i parametri Usa, il totale di Deputati e Senatori sarebbero 105. Ciascun parlamentare americano, poi, costa la metà di quello italiano (in euro correnti di mercato al tasso di cambio di questi ultimi giorni). Qualcuno farà ricordare agli italiani che l’unica riforma costituzionale tale da ridurre un costo della politica frenante quanto il debito pubblico è stata quella affossata quando una delle parti oggi in campo invitò a non andare a votare il referendum confermativo. Altri sosterranno che soltanto loro non sono stati associati con l’Himalaya di sprechi. Ne vedremo delle belle. E il declino dell’Italia sarà ancora più forte.