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Un bilancio della 194

Poco più di 35 anni fa, il 22 maggio 1978, è stata approvata dal Parlamento italiano la legge che ha depenalizzato l’aborto nel nostro Paese, n. 194/1978, d’allora ipocritamente definito “interruzione volontaria di gravidanza” (ipocritamente perché l’IVG non “interrompe” ma “termina” volontariamente una vita nel grembo materno). La legge 194 ha consentito finora 5 milioni e mezzo di “aborti di Stato”, illudendo le donne che sono ricorse all’IVG di risolvere i problemi con una operazione chirurgica che, invece, d’allora ha dato origine a sofferenze che solo difficilmente trovano pace nel loro cuore e nella loro psiche. A meno che non accettino di compiere un cammino di auto-coscienza e condivisione che consenta loro, come accade nell’esperienza di molti Centri di aiuto alla vita (CAV), di superare quella “sindrome post-abortiva” che è negata ideologicamente anche in non pochi manuali e testi medico-psicologici.

I Centri e Servizi di aiuto alla vita (SAV) sono nati nel nostro Paese già nel 1975, tre anni prima dunque l’approvazione della legge 194. Attualmente sono diventati 339 con l’ultimo in ordine di tempo, fondato a Roma l’8 settembre scorso presso la Parrocchia di San Ponziano in via Nicola Festa 50 (cfr. Gaia Bottino, Cav Roma Talenti: una goccia per il fiume della vita. Ieri l’inaugurazione del quinto Centro di Aiuto alla Vita capitolino, in Zenit, 9 settembre 2013).

Presenti in tutte le Regioni d’Italia, i CAV e SAV, pur nell’assoluta povertà dei mezzi con cui operano (quasi tutto volontariato), hanno potuto assistere, dal 1975 ad oggi, oltre 500mila donne, sottraendo all’aborto circa 160mila bambini. Questi sono i numeri raccolti con metodo scientifico dalla Segreteria nazionale del Movimento per la vita italiano, dai quali sfuggono i numeri di quelle donne aiutate ma non censite, oppure non seguite di persona ma, per loro scelta, tramite telefono o corrispondenza tradizionale/elettronica.

Il sostegno che i CAV forniscono consiste sia in aiuti di carattere materiale, come contributi in denaro alle gestanti, assistenza medica, prodotti per l’infanzia etc., sia morale e sociale, con servizi di ascolto, orientamento e consulenza psicologica e morale. Essendo organizzazioni private, tutti gli aiuti offerti dai Centri sono finalizzati alla salvaguardia della maternità e della vita umana innocente.

Molto bassa è la percentuale di gestanti inviate ai CAV dai consultori pubblici, solo il 7%, a testimonianza del fatto che, nel Sistema Sanitario Nazionale l’aborto-“diritto” è considerato sempre la “scelta” più facile. Le donne che si rivolgono ai Centri di aiuto alla vita lo fanno quindi soprattutto perché inviate da amiche sono (il 28% circa dei casi), poi vengono in ordine d’importanza quelle inviate da parrocchie ed associazioni (10%) e, infine, troviamo i casi più favorevoli, cioè il “passa-parola”. Vale a dire mamme che sono inviate ai CAV da altre donne che hanno fatto la scelta di “tenere” il proprio bambino grazie al sostegno ricevuto dal volontariato per la vita  (nel 6% dei casi).

La rete dei CAV/SAV è completata da una serie di servizi come ad es. il telefono Sos Vita, linea verde (800.813000) che ascolta ed aiuta donne in difficoltà per una gravidanza, ed il Progetto Gemma, adozione prenatale a distanza, le decine di case di accoglienza.

Ma di due servizi, spesso non si parla fra quelli offerti dai CAV.

Il primo è davvero un po’ particolare, anche se le sue origini si perdono nella “notte dei tempi”. Ora, si dovrebbe più spesso ricordare che l’ordinamento italiano (dPR 396/2000, art. 30, comma 2) consente alla madre che non può o vuole tenere il proprio figlio, piuttosto che abortire, di non riconoscerlo lasciandolo nell’ospedale dove è stato fatto nascere mantenendo il più stretto anonimato. Il nome della madre che ricorre a questo “parto in anonimato” deve rimanere per legge segreto e, nell’atto di nascita del bambino, è trascritta per questo la seguente dicitura: “nato da donna che non consente di essere nominata”. Nonostante questa opportunità, rimangono ancora molte donne che, non potendo tenere il proprio figlio, non vogliono comunque recarsi in ospedale per farlo nascere, anche se si rifiutano di eliminarlo con un aborto più o meno “clandestino”. Per questo in alcune città sono tornate le “Ruote degli esposti”, in versione contemporanea e col nome più “soft” di “Culle per la vita”, promosse appunto dai locali Centri e Servizi di aiuto alla vita. Anche questi “estremi ripari” per i neonati possono aiutare le donne a rimanere nell’anonimato e a salvare la vita del loro piccolo.

La prima “Ruota degli esposti” pubblica, in Italia, risale al 1198. Fu infatti istituita a Roma nel tardo Medioevo, ad opera di Papa Innocenzo III nell’ospedale di Santo Spirito in Sassia. Fece il “suo dovere” per quasi 7 secoli con centinaia di bambini sottratti per suo merito all’infanticidio, fino a quando i “piemontesi”, conquistata Roma, per motivi di natura ideologica e economica le abolì. Da qualche anno sono però tornate a comparire in Italia ed hanno ripreso a salvare, talvolta dal “cassonetto”, molte vite di neonati che, magari, oggi sono stati adottati e curati da famiglie generose ( la mappa completa con tutte le città dove sono presenti le Culle per la vita si possono trovare sul sito www.culleperlavita.it).

Altro servizio di grande utilità fornito dai CAV e spesso sottovalutato è quello di formare ed informare, sia gli operatori che cittadini in generale, sui delicati temi della maternità, dell’aborto e della “sindrome post-aborto” che, spesso, sono oggetto di ignoranza od inquinamento da parte della cultura della morte che imperversa in ospedali, università e consultori. Fra i nuovi corsi di formazione attivati a Roma menzioniamo ad esempio quello denominato “Quattro serate per la Vita” che, il prossimo mercoledì 9 ottobre (ore 19.00-20.30), sarà inaugurato dai volontari del CAV DI ROMA “PALATINO”, nella sala conferenze della Basilica di S. Anastasia a Roma (p.zza S. Anastasia 1, 00186 Roma). Si tratta di quattro incontri che, tranne il primo del 9 ottobre, avranno luogo in tre martedì successivi, cioè il 15, il 22 ed il 29 ottobre (sempre dalle 19 alle 20.30), i quali costiuiscono altrettante occasioni di condivisione dell’esperienza di lavoro e volontariato orientati alla difesa della vita e della maternità, con il contributo di operatori del Centro di Aiuto alla Vita, e di medici e docenti pro life. La prima presentazione inaugurale, dedicata al tema “L’esperienza di un medico al servizio della vita, sarà esposta dalla dottoressa Giuseppina Pompa, ginecologa presso l’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI di ricerca sulla fertilità e infertilità umana – ISI, dell’ Università del Sacro Cuore di Roma ma, nell’iniziativa, è stato coinvolto anche il rettore della Basilica di S. Anastasia, Don Alberto Pacini. Il sacerdote, che ha organizzato da anni in Basilica un “Centro di ascolto”, terrà infatti il terzo degli incontri (il 22 ottobre), dedicato ad una riflessione sul cammino di guarigione spirituale da vivere (e far vivere) dopo il trauma dell’aborto.

Per i dettagli ed il calendario degli incontri, si consulti il sito del CAV “Palatino”: http://www.cavromapalatino.it/.


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