Una breccia nella grande muraglia che circonda il web cinese potrebbe aprirsi nella zona pilota di libero scambio di Shanghai. L’area che sarà inaugurata a fine mese alla presenza del primo ministro Li Keqiang, sarà il luogo dove sperimentare maggiori liberalizzazioni, la convertibilità dello yuan e l’accesso a siti a oggi bloccati nel resto de Paese, da Twitter a Facebook, passando per l’edizione online del New York Times, oscurato l’anno scorso per l’inchiesta sulle ricchezze accumulate dalla famiglia dell’ex premier Wen Jiabao.
Secondo quanto rivelato dal South China Morning Post, che cita funzionari in condizione di anonimato, nell’area sarà inoltre consentito alle imprese straniere di competere per le licenze per fornire servizi internet. Una decisione di cui sono già stati messe al corrente le tre grandi delle telecomunicazioni cinesi, i colossi statali China Mobile, China Unicom e China Telecom, che, stando a quanto riporta il quotidiano di Hong Kong, non hanno opposto obiezioni al progetto che gode del sostegno delle alte sfere della leadership cinese, su tutti il premier Li.
L’area di 28 chilometri quadrati sorta nel distretto del Pudong è stata definita uno dei più ambiziosi progetti dall’istituzione della zona economica speciale di Shenzhen negli anni Ottanta del secolo scorso e comprende a oggi la zona franca di Waigaoqiao, il porto di Yangshan e un aeroporto internazionale. Se il progetto pilota dovesse dare i risultati sperati, l’area potrebbe espandersi fino a comprendere per intero il Pudong.
Le indiscrezioni sulle aperture nel grande firewall cinese arrivano nel mezzo della campagna contro i rumor online che ha avuto come vittime i cosiddetti utenti “big V”, ossia i vip della piattaforma di microblog Weibo i cui account sono verificati, capaci di attirare migliaia di seguaci e che ora dovranno stare attenti a quante volte un loro messaggio sgradito sarà visualizzato o ripreso.
Una notizia considerata una diceria, che magari ha svelato qualche scandalo, potrebbe comportare il carcere per l’autore se dovesse essere vista da almeno 5mila utenti internet o ripubblicata più di 500 volte. Uno stratagemma per garantire stabilità ed evitare troppe fibrillazioni e indignazione tra i cittadini mentre la dirigenza ha lanciato una campagna contro la corruzione tra le file del Partito e degli apparati di governo con l’impegno a non risparmiare personaggi di primo piano.
Nella seconda economia al mondo dopo gli Stati Uniti, le restrizioni alla rete sono tuttavia considerate un ostacolo agli affari da società e imprenditori. I manager dei giganti della rete continuano la loro opera di pressione per sbloccare i propri siti. Nei giorni scorsi, Sheryl Sandberg di Facebook ha incontrato Cai Mingzhao, direttore dell’Ufficio per l’Informazione del Consiglio di Stato, l’esecutivo cinese, ufficialmente per promuovere il suo ultimo libro.
Come ha ricordato Bill Bishop sul New York Times, servizi come Twitter, Facebook, Youtube, inaccessibili in Cina se non tramite strumenti per aggirare la censura o occasionalmente per motivi che non è dato conoscere, riescono tuttavia a trarre profitto dal mercato cinese: merito della pubblicità dalle aziende cinesi che puntano all’estero.
L’intreccio tra politica ed economia emerge anche dall’impatto che Shanghai potrebbe aver su Hong Kong. La zona di libero scambio nell’area del Pudong è diretta concorrente dell’ex colonia britannica.
Il rischio che Hong Kong possa perdere terreno è stato sottolineato sia dal mondo imprenditoriale con le parole dell’uomo più ricco dell’Asia, Li Ka-shing, sia dal governo cinese, da Yu Zhengsheng, presidente della Conferenza politico-consultiva, sorta di camera bassa cinese.
L’esortazione è a rimboccarsi le maniche per sostenere l’economia, senza lasciarsi distrarre da altro, ad esempio dalla politica. Un avvertimento quasi per quanti spingono per avere il suffragio universale, come da impegni presi quando l’ex colonia tornò alla Cina sedici anni fa.