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Una classe politica che riparte dalla formazione

Si è tenuta lo scorso weekend a Frascati una conferenza internazionale di tre giorni, organizzata dall’International Catholic Legislators Network e dall’Acton Institute, alla quale ho avuto il privilegio di partecipare in veste di avvocato e giurista cattolico. Il network, fondato nel 2010 dal cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, e da Lord David Alton of Liverpool, membro della Camera dei Lord britannica e noto per le sue battaglie contro l’aborto, ha riunito a Villa Tuscolana un centinaio di parlamentari provenienti da 24 Paesi e una trentina di giuristi (magistrati, avvocati, consulenti legali) di tutto il mondo, per discutere di temi sui quali – come legislatori e come cattolici – si è chiamati a confronto. Sono emerse naturalmente le emergenze politiche nei vari Paesi, la necessità di una difesa strenua ed energica dei tradizionali «principi non negoziabili», ma anche la preoccupazione per le persecuzioni e le discriminazioni nei confronti dei cristiani.

La premessa è stata proprio quella dell’affermazione della libertà di professare il proprio credo religioso anche attraverso la testimonianza nell’incarico delicato e nobile della rappresentanza parlamentare. Da qui il primo spartiacque: l’esercizio di una pubblica funzione non può essere scissa dalla propria identità culturale e religiosa. E questo, come cristiani e come cattolici, risponde pienamente all’ideale della cd. unità di vita: non si è cristiani solo in casa, o la domenica, o quando ci si aggrappa opportunisticamente a qualche Santo protettore, ma lo si è tutti i giorni in ogni attività – pubblica o privata che sia – alla quale si è chiamati. Anche nell’esercizio della rappresentanza attiva. Da qui l’importanza di una libertà basilare, quella dell’obiezione di coscienza, che – tanto per intenderci – il Prof. Stefano Rodotà ha dichiarato di voler negare a quei medici cattolici che si rifiutino di eseguire pratiche abortive.

I temi trattati nel corso della conferenza, divisi per seminari, sono stati molteplici e in gran parte di pregnanza etica: right to life, same-sex marriages, rule of law, discrimination towards Christians, freedom of expression. Temi tutti – è fondamentale sottolinearlo – trattati non con un approccio confessionale, bensì sul piano del diritto naturale; conseguentemente, su una piattaforma razionale, logica, universalmente valida e immutabile nonchè preesistente al diritto positivo, e pertanto passibile di un’adesione appunto universale.

Aldilà del merito di ciascuno di questi temi (sui quali cercherò di tornare in maniera più estesa e articolata in altro intervento), mi preme sottolineare un elemento di straordinaria portata che da addetto ai lavori non-politico mi ha positivamente colpito e incoraggiato. L’entusiasmo e l’umiltà di ciascuno di questi deputati e senatori di fronte all’urgenza di formarsi ulteriormente su determinati temi (alcuni particolarmente complessi), di capire, di approfondire, non solo nell’ottica di una sintesi comune, ma anche di un rafforzamento di idee che hanno una base logico-razionale che è nel cuore dell’Uomo, e va riscoperta e studiata. Con una importante premessa: il right to life, ivi incluso il diritto del concepito a essere tutelato nella sua dignità e identità piena e indiscutibile, è un principio primario ed universale (e dunque non confessionale) dal quale derivano tutte le altre libertà. Non è un caso che le prime parole della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proclamata dall’Onu il 10 dicembre 1948, richiamata e ripetuta in diverse costituzioni nazionali e convenzioni internazionali, affermino che il fondamento della giustizia, così come della libertà e della pace, consiste nel riconoscimento della dignità inerente ad ogni essere appartenente alla famiglia umana e dei suoi uguali ed inalienabili diritti.



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