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Consigli non richiesti a Meloni e destri vari. Come costruire una destra sana

Questo commento è stato pubblicato sul quotidiano Il Tempo

Parafrasando la celebre battuta di Woody Allen, un elettore di destra oggi potrebbe dire: “Il Msi è morto, An è morta e anch’io non mi sento molto bene”. Ma si sbaglierebbe. Mai come oggi tante idee “di destra” sono diventate patrimonio di tutti gli italiani. S’è acceso il valore della nazione, ma s’è spenta la destra che lo invocava: perché?

La prima sbandata si chiama federalismo, qualcosa di totalmente estraneo non soltanto alla tradizione politica della destra (di recente esponenti di sinistra hanno ricordato con rispetto la battaglia di Giorgio Almirante in Parlamento contro l’istituzione delle Regioni nei primi anni Settanta), ma anche alla stessa storia nazionale e repubblicana dell’Italia “una e indivisibile”. Anziché costruire il futuro della memoria di Garibaldi, Mazzini e Cavour, la destra ha voluto lisciare il pelo all’allora alleato leghista. Con l’ulteriore smacco che importanti e oneste battaglie di principio, come quelle per l’italianità dell’Alto Adige o per i ventimila connazionali cacciati dalla Libia, si sono perfino capovolte. Nel primo caso al solitario Pietro Mitolo, ignorato punto di riferimento della destra bolzanina, fu preferito il punto di vista della Svp. Nel secondo è stata addirittura rivalutata la figura di Gheddafi, il satrapo ricevuto con tutti gli onori a Roma, mentre esibiva una foto dalla voluta provocazione anti-italiana sul bavero della giacca. Nessuna destra francese, nessun conservatore inglese né popolare spagnolo avrebbero tollerato quel che i parlamentari italiani hanno tollerato. Non uno di loro si alzò in aula per gridare contro il dittatore.

Ecco, il cinismo ha prevalso sul romanticismo, l’idea che qualunque prezzo politico fosse pagabile pur di restare al potere, ha obnubilato i rappresentanti della “legge e ordine”, altra peculiarità delle destre universali qui dimenticata. “Chi sbaglia, paga” è così diventato una barzelletta. Una triste barzelletta, come il Tempo sta documentando con storie di innocenti incarcerati, che si sommano alle storie altrettanto incredibili di migliaia di vittime di reati impuniti, e che mai hanno ricevuto né riceveranno “giustizia”.

E allora sarà interessante vedere come finirà la recente battaglia che Fratelli d’Italia ha condotto alla Camera contro l’eliminazione di 135 nomi italiani dalla toponomastica bilingue dell’Alto Adige. Un abominio politico e giuridico che questo governo sta avallando contro la Costituzione, il buonsenso, e la storia quasi secolare dell’Italia a Bolzano. Ma la destra, se è “nuova”, non può limitarsi a “denunciare” tale inaudita violazione: deve impedirla. Anche ricorrendo alla magistratura, coinvolgendo il Quirinale, occupando il ministero di Graziano Del Rio. Ogni iniziativa civica e civile per evitare lo sfregio. Non basta “partecipare”, bisogna saper vincere, quando la causa è una buona causa in difesa della Costituzione. Altrimenti è solo propaganda.

Ecco, alla nuova politica si richiede coerenza di comportamenti, non più l’inconcludenza del passato. Si richiede di salvare i 135 toponimi a qualunque costo, rovesciando l’atteggiamento della destra di ieri che a qualunque costo governava. Cercasi destra di esempi, dunque, che preservi la libertà di parola in Alto Adige, e abolisca il vitalizio dei parlamentari a Roma. Che si batta per la cultura italiana, con la fierezza e grandezza con cui lo fa Riccardo Muti. Che ami le libertà, con lo spirito dell’indimenticabile Indro Montanelli. Che detesti il finanziamento pubblico ai partiti, ma non la carità cristiana rilanciata con umile fermezza da Papa Francesco. Una destra del lavoro, con poche ma forti proposte per rilanciare l’economia, con una certa idea dell’Italia nell’universo e in patria, concedendo ai figli di immigrati nati nel Paese più bello del mondo la possibilità di dire, come gli stranieri nell’antica Roma, “sono cittadino italiano”.

Una destra che ami l’Italia, semplicemente.

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