Per capire perché la minaccia del PDL sulle dimissioni di massa sia solo una boutade senza senso, basti richiamare poche norme.
Per l’art. 89 della Legge elettorale per la Camera (L. n. 361/1957), articolo a cui rinvia la stessa legge elettorale per il Senato, “è riservata alla Camera dei Deputati la facoltà di ricevere e accettare le dimissioni dei propri membri”.
Nessun automatismo, pertanto.
Per ciascuna rinuncia, che andrebbe motivata, si svolgerebbe uno specifico dibattito con conseguente deliberazione, quale quello che, ad esempio fra i tanti, riguardò il Senatore Cossiga nel 2002 e che, nonostante la sua preghiera di estrometterlo dalla vita politica, intendendo egli in tal modo “dare un responsabile contributo all’ordinata vita delle istituzioni del mio Paese – il cui ordinamento è purtroppo ancora in una “transizione infinita” sotto il profilo del sistema costituzionale e dello stesso sistema politico – con piena consapevolezza che si è ormai chiuso per me il periodo della mia attività istituzionale”, si concluse con il rigetto delle dimissioni.
E qualora le dimissioni venissero accettate, ai sensi dell’art. 17bis dell’attuale Regolamento della Camera e dell’art. 19 della attuale Legge Elettorale per il Senato (L. n. 533/1993), il seggio rimasto vacante verrebbe attribuito al candidato che segue immediatamente l’ultimo degli eletti nell’ordine progressivo di lista.
Ancora uno slogan elettorale privo di significato, dunque.
Ancora uno scarsissimo senso delle istituizioni.
Perciò, accomodatevi alla porta, grazie. Non vi rimpiangeremo.
E avanti un altro.