È stato un giorno di disordini a Herat, nell’ovest dell’Afghanistan, con il consolato statunitense preso di mira da un attacco talebano. Proprio mentre trovano conferme le notizie sulla imminente scarcerazione del numero due dei talebani, Abdul Ghani Baradar, nel tentativo, pare, di avvicinarsi all’ala più moderata dei turbanti neri.
Il bilancio delle vittime dell’assalto di Herat è stato di almeno tre agenti delle forze di sicurezza afgane morti, assieme a sette ribelli, e 19 feriti. L’attacco ha avuto inizio nelle prime ore del mattino. Secondo quanto riferito dal capo provinciale della polizia, Rahamatullah Safi, un’autobomba è esplosa all’esterno del complesso, seguita da uno scontro a fuoco tra talebani e agenti. Qari Youseg Ahmadi, portavoce dei turbanti neri ha confermato la paternità dell’assalto, prassi va detto comune al movimento.
Herat, non lontano dal confine con l’Iran, è considerata una delle zone più sviluppate e sicure del Paese. Come scrive l’Associate Press, l’attacco al consolato Usa ha sottolineato la capacità dei talebani di colpire con maggiore frequenza in regioni diverse dai tradizionali Sud ed Est del Paese in cui si concentravano in passato gli attacchi.
Le rappresentanze diplomatiche straniere sono un bersaglio privilegiato, colpito spesso con attacchi “complessi” che, come nel caso di Herat, prevedono l’uso sia di autobombe sia di combattenti. Il mese scorso a finire sotto attacco fu il consolato indiano di Jalalab. Il bilancio fu di nove morti.
Intanto dal Pakistan arriva la notizia della prossima probabile scarcerazione del Mullah Abdul Ghani Baradar, già numero due dei talebani afgani catturato a Karachi nel 2010. A spiegare le intenzioni di Islamabad era stato martedì Sartaj Aziz, consigliere per la politica estera del primo ministro pachistano, Nawaz Sharif, che in un’intervista alla Reuters aveva spiegato come il governo avesse in linea di principio trovato un accordo per il rilascio del leader talebano a tempo debito, specificando che potrebbe avvenire entro questo mese.
Conferma sono arrivate dal portavoce del ministero degli Esteri, Aizaz Ahmad Chaudhry. Il rilascio, dovrebbe, almeno nelle intenzioni e a parole, favorire la pacificazione in Afghanistan.
Baradar dovrebbe fungere da leader capace di portare su istanze più moderate i turbanti neri, la cui leadership sembra essere radicalizzata. Per certi versi si assiste a quella che osservatori della situazione afgana hanno descritto come una deriva irachena, o pakistana se si vuole. Lo dimostrerebbe l’attentato dello scorso giugno alla fermata del bus davanti alla corte suprema. Un’azione che difficilmente avrebbe avuto come bersaglio obiettivi istituzionali o forze di sicurezza, ma semplici impiegati, gente comune.
L’annuncio del rilascio di Barabar arriva quando sono trascorse poco più di due settimane dalla visita del presidente afgano, Hamid Karzai, in Pakistan, con i cima all’agenda il processo di pace con i talebani e l’esortazione ad Islamabad a fare pressioni sugli studenti guerriglieri, anche con lo strumento della scarcerazione di prigionieri per aver nuovi interlocutori e mediatori.
A stretto giro sono arrivati il rilascio di sette talebani e le notizie sull’ex numero due del Mullah Omar. Ma nel corso dell’ultimo anno sono stati rilasciati almeno 30 guerriglieri tra cui un personaggio di primo piano come l’ex ministro della giustizia Nooruddin Turabi.
Una volta chiariti i tempi del rilascio, resta da capire se i talebani saranno disposti ad accettare il ruolo di Barabar, scrive Radio Free Europe/Radio Liberty, in particolare dopo tre anni di reclusione.
Altro punto da chiarire è se il leader talebano sarà riconsegnato all’Afghanistan o resterà in Pakistan, con Islamabad intenzionata a non abbandonare il proprio ruolo nella questione afgana. D’altra parte, come ricorda sempre Rferl, dietro l’operazione che portò alla cattura del secondo di Omar non è escluso ci possano essere stati gli stessi pachistani, per ritorsione verso l’intenzione di aggirare il Pakistan nelle trattative.