L’allarme è suonato da tempo. La ribellione dei gruppi No Tav ha ormai trasceso abbondantemente i limiti della legittima protesta democratica per sconfinare spesso nella violenza pura e semplice. A testimoniarlo c’è una serie di minacce rivolte alle Forze dell’ordine, di attacchi rabbiosi e una mole di oggetti sequestrati, tutt’altro che innocui: molotov, chiodi a 4 punte, fionde, cesoie, maschere antigas, pneumatici, tubi e chi più ne ha più ne metta.
Probabilmente non sbaglia chi sostiene che il nucleo originario dei manifestanti fosse composto da innocui valligiani, guidati solo da buone intenzioni. Non v’è motivo di dubitarlo, ma nemmeno di negare che ormai, nascosto dietro i binari della Tav, si stia consumando il personale scontro di alcuni facinorosi contro lo Stato.
Una “guerra” che vede in prima linea un uomo delle istituzioni come Giancarlo Caselli, Procuratore Capo di Torino, che nei giorni scorsi aveva lanciato l’allarme: “È grave la sottovalutazione di politici e intellettuali su quel che accade in val di Susa. Un silenzio che arriva a rasentare la connivenza”.
Un appello che invece di essere raccolto e rilanciato dalla classe dirigente italiana, è diventata l’occasione per un botta e risposta con lo scrittore napoletano Erri De Luca, che ieri in un’intervista all’Huffington Post ha tacciato Caselli di “esagerare” e difeso i No Tav dichiarando che a costo di andar contro il voto del Parlamento l’opera “va sabotata”, perché non è frutto di “una decisione politica ma delle banche e di coloro che devono lucrare a danno della vita e della salute di un’intera valle“.
Per De Luca – in passato responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua – “i sabotaggi sono necessari per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile”.
L’intellettuale oggi è tornato a parlare, rincarando la dose.
“Parlare della lotta in Val di Susa, dei sabotaggi in Val di Susa come di terrorismo – ha dichiarato all’AdnKronos – è un’esagerazione. I nostalgici di Stato vorrebbero che tornassero i tempi passati, se potessero arruolerebbero di nuovo le Brigate Rosse“.
Parole che rendono bene il concetto espresso da Caselli, secondo il quale bisogna fare attenzione ai “cattivi maestri” che rievocano le tensioni dei lontani anni ’70 e fomentano animi già di per se agitati ed influenzabili.
Ma come rimarcato dal procuratore, le colpe di questa degenerazione sono da ricercare anche nel silenzio di una politica in perenne ricerca di consenso, troppo spesso silente o peggio ancora connivente nei confronti di chi usa la violenza per portare avanti le proprie ragioni, per di più minoritarie.
A ricordarlo ci sono le minacce preoccupanti alle quali è stato sottoposto il senatore democratico piemontese Stefano Esposito, che per primo ha avuto il coraggio di denunciare i tanti soprusi subiti da alcuni elementi No Tav per il semplice motivo di essersi dichiarato favorevole all’opera. Uno dei pochi ad aver preso, a sue spese, una posizione netta, così come il sindaco di Torino e un’altra manciata di politici.
Tra tanti silenzi, ad aver colto l’allarme di Caselli è stato senza dubbio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti del governo Letta, Maurizio Lupi, che in un’intervista rilasciata alla Stampa ha rotto il silenzio usando parole durissime paragonando i NoTav ai mafiosi e ‘ndranghetisti che chiedono il pizzo agli imprenditori, “ci troviamo nella stessa situazione di quegli imprenditori che sono minacciati dalla mafia e dalla ‘ndrangheta”.
Una situazione che, in tempi di larghe intese, pochi uomini di centro e centrodestra hanno condannato, denotando intese evidentemente non così “larghe” quando si parla di bene comune, ma molto più solide quando a dover essere preservati sono gli scranni parlamentari. Sintonie che sarebbe bene si trasferissero dalle ciarliere aule di Camera e Senato ai problemi veri del Paese reale, sempre più orfano di una sicura guida istituzionale.