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Il Capitale conquista il mercato comune europeo

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Se il denaro è una merce, come postula (senza mai dirlo) il mainstream economico del nostro tempo, allora sembra del tutto logico che sia trattato alla stregua di tutte le altri merci.

Se far girare il denaro è un servizio, come sottintende la forsennata liberalizzazione dei movimenti di capitali in auge da un trentennio nei nostri paesi, allora è del tutto logico che chi gestisce i servizi finanziari sia assimilato a tutti gli altri.

Perché stupirsi, allora, se nel dibattito, finora ristretto, sul futuro dell’Unione europea ormai si chieda a gran voce che si traggano le dovute conseguenze? Ossia che anche il Capitale entri nel sistema generale generale che regge il mercato comune europeo per le altre merci e servizi, che vede la Commissione europea, e non gli stati nazionali, nel ruolo di governante capace anche di comminare sanzioni.

Nessuno può far nulla se la Commissione europea sanziona uno stato che magari non rispetta la direttiva sulle quote latte. Perché dovrebbe sembrare strano se la Commissione, o chi per lei, conquista il potere di decidere di far fallire una banca?

Questo è il punto esatto in cui ci troviamo. L’Unione europea si trova di fronte a un bivio cruciale per il suo sviluppo: la definitiva integrazione, in prospettiva anche fiscale, o la definitiva disintegrazione.

La migliore cartina tornasole di cui disponiamo per monitorare tale processo è il dibattito sull’Unione bancaria, che abbiamo già visto porta con sé alcune significative implicazioni.

Adesso possiamo fare un passo in avanti. Possiamo leggere ad esempio le illuminanti parole di Yves Mersch, componente del board della Bce, che di recente ha parlato all’European Forum di Alpbach proprio sul tema “Il mercato unico e l’unione bancaria”. Un intervento che, aldilà di come la si pensi, ha il pregio di fare chiarezza su come la vedano i nostri banchieri centrali.

Può sembrare strano che ci sia un nesso fra mercato unico europeo, che conosciamo ormai da oltre 50 anni, e Unione bancaria. Quest’ultima è diventata d’attualità solo in conseguenza della crisi, mentre il Mercato comune europeo è ormai pacificamente acquisito. Ma i cultori della materia ricorderanno che di Unione bancaria, o meglio di supervisione bancaria, parlò per la prima volta Wim Duisenberg, già presidente della Bce e componente di quel Comitato Delors che fissò le regole del trattato di Maastricht, sollecitandone l’attuazione. Ma i suoi appelli caddero nel vuoto.

All’epoca, come oggi, gli stati nazionali erano poco restii a cedere sovranità su una materia tanto delicata.

Oggi però, a differenza di allora, i tempi sembrano più propizi.

Il terremoto provocato dalla crisi, che ha sconquassato le economie europee, ha reso gli stati nazionali più disposti ad ascoltare i consigli dei banchieri centrali, chiamati a “fare tutto quanto sarà necessario” per salvare l’euro e, di conseguenza la costruzione europea.

Lo dimostra il fatto che l’Unione Bancaria è entrata di prepotenza nelle cronache economiche, proprio su sollecitazione dei banchieri centrali, anche se il dibattito è ancora lontano dalle orecchie del grande pubblico.

Ma il grande pubblico scopre sempre troppo tardi la posta in gioco. Oggi le opinioni pubbliche europee sono impelagate nel dibattito euro sì/euro no, mentre l’Internazionale dei banchieri centrali è già andata oltre.

Si prepara a varare l’Euro 2.0.

Il mese di settembre sarà fondamentale per capire quanto tale lavorio sia concreto.

Quando si parla di settembre, la prima cosa che viene in mente sono le elezioni tedesche. Ma, sebbene importanti, non saranno queste (o almeno non subito) a determinare il futuro dell’Unione bancaria.

Sarà molto più importante, infatti, la riunione plenaria del Parlamento europeo che si terrà fra il 9 e l’11 di questo mese, che dovrebbe approvare il regolamento che istituisce la supervisione bancaria nell’Eurozona, quello che viene denominato con l’acronimo SSM, della quale si sa già dovrebbe occuparsi la Bce. Se il parlamento darà il suo via libera, ci vorrà almeno un semestre prima che la burocrazia faccia il suo corso, calcola Mersch, e almeno un altro anno perché la supervisione diventi davvero operativa.

Arriviamo dunque ai primi del 2015, quando dovremmo avere un Supervisore europeo pienamente attivo.

Ma il tempo non sarà trascorso invano. Ricorderete che prima dell’estate il Consiglio europeo ha trovato l’accordo sulla direttiva sul salvataggio delle banche e che la Commissione europea ha già elaborato una proposta di attuazione che ha fatto storcere il naso ad alcuni stati, Germania in testa, perché giudicata formalmente in contrasto con i trattati, ma sostanzialmente troppo sbilanciata verso le autorità sovranazionali.

Evidentemente gli stati non hanno problemi a delegare alla commissione le regole per la cottura della pizza o della pesca del salmone, al contrario di quanto accade per la gestione delle banche. Persino i politici devono aver capito che se perdono la possibilità di contare sulle banche che risiedono nei loro stati, il loro potere sarà ridotto all’equivalente di un amministratore di condominio.

L’accordo trovato nel consiglio europeo, che ha originato la Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) dovrà essere a sua volta ratificato dal Parlamento europeo, e l’auspicio del nostro banchiere centrale è che si arrivi al gennaio 2018 (“Troppo tardi”, dice Mersch) con il meccanismo del bail-in (ossia della responsabilità dei fallimenti bancari in prima battuta in capo agli azionisti e agli obbligazionisti) pienamente operativo.

Ciò renderà operativo un altro meccanismo, quello di risoluzione. Quindi dovrebbe essere creata un’entità, ancora non si sa bene composta da chi, che abbia il potere di far fallire in maniera ordinata una banca qualora le segnalazioni del Supervisore lo suggeriscano.

Sulla fisionomia del Risolutore si gioca un’altra importante partita che influenzerà il destino europeo. Sarà un’entità sovranazionale, come suggeriscono i banchieri centrali e vorrebbe la Commissione Ue, o sarà “annacquata” dagli stati nazionali come vorrebbero i tedeschi e i francesi?

Per capire perché sulla partita dell’Unione bancaria si decida il futuro dell’Europa basta leggere Mersch. Con l’Unione bancaria, spiega, si ottengono tre risultati:

1) si incoraggia l’integrazione trans-frontaliera delle banche europee, e quindi si crea un sistema bancario europeo che, spiega, faciliterebbe l’emissione di credito;

2) si aumenterebbe la fiducia nelle banche europee, supervisionate dalla Bce e “punite” dal Risolutore quando sbagliano. Questo migliorerebbe gli scambi di capitale all’interno dell’eurozona;

3) si spezzerebbe il collegamento fra stati e banche nazionali, vista la tendenza di queste ultime a riempirsi di bond del proprio stato di residenza, magari con i soldi della Bce. A tal punto che hanno finito col sostituire le vecchie banche centrali, che finanziavano lo stato, ma con la differenza che, diversamente dalle banche centrali, lucrano corposi rendimenti, specie nei PIIGS, favorendo indirettamente l’indisciplina fiscale. E poi magari se falliscono devono essere salvate dagli stessi stati che prima hanno spremuto.

Per la cronaca, questo link fra stati e banche è la bestia nera di tutti i banchieri centrali europei.

Ma il fine ultimo del progetto è ancora più ambizioso.

Grazie alla costruzione di un’appropriata Unione bancaria, ossia più sovranazionale possibile, si arriverà al risultato, davvero storico, di costruire un mercato unico del capitale. Ossia la naturale evoluzione e il completamento del mercato unico europeo nato negli anni ’50.

“Noi abbiamo un mercato unico dei beni e dei servizi, dove le regole sono stabilite dalla legislazione comunitaria che dispone di diversi strumenti, come la procedura di infrazione, per far rispettare le sue decisioni”, spiega Mersch.

Adesso serve un passo avanti: “Abbiamo bisogno di costruire un regime altrettanto efficace per il mercato unico del capitale. Abbiamo già alcune nuove norme in vigore, per esempio sui requisiti patrimoniali. Siamo sul punto di accettare di un nuovo meccanismo per la supervisione. Ma ora dobbiamo fare in modo di creare una forte autorità per la risoluzione che abbia gli strumenti adeguati per fare il suo lavoro, come il bail-in, già a partire dal 2015″.

In pratica una nuova Unione Europea che integri sotto l’egida protettiva e rassicurante di una burocrazia opaca e democraticamente irresponsabile tutto ciò che si può scambiare, denaro compreso. Il dispotismo nella sua forma euroasiatica e il trionfo dell’egemonia monetaria.

Tutta la nostra economia sarà finalmente liberata dalla politica e dalle sue storture e sarà totalmente finanziarizzata, con le merci in balia delle borse valori.

La migliore delle economie possibili, a quanto pare.

Tutto ciò nel nome di futuri benefici di cui potranno godere i cittadini, “che avranno un settore bancario più sicuro”, le banche, “che agiranno in un contesto più ordinato”, e i governi, “che non dovranno più preoccuparsi di salvare le banche con i soldi pubblici”.

Quindi sicurezza, ordine e parsimonia pubblica.

Questa è la proposta valoriale sottintesa nel progetto economico di Europa che abbiamo davanti.

Siamo tutti convinti?

Allora diamo ai banchieri centrali, o a chi per loro, le chiavi della macchina dell’economia, come facciamo in Italia da vent’anni, e penseranno loro a guidarla.

Ecco come la logica del denaro come merce conduce al dominio del Capitale sulle merci.

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