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Perché solo riducendo le imposte si può far ripartire il motore Italia

No taxation without representation. La tassazione discende dalla politica. Così accade nelle democrazie moderne, dai tempi della rivoluzione americana. Ma oggi, nel complicato mondo della globalizzazione, vale anche il contrario. Non c’è politica senza tassazione. Ovvero, nessun Paese può perseguire con successo obiettivi collettivi di sviluppo senza porsi il problema di un confronto competitivo tra il proprio sistema di tasse e quelli dei propri concorrenti, vicini e lontani.

NON SOLO CINA
Nel Mondo fiscalità fa rima con competitività. Ciò vale innanzitutto per le imprese. Non è un discorso nuovo. Sugli incentivi fiscali, oltre che sul basso costo del lavoro, puntarono le “zone economiche speciali” volute da Deng a partire dalla fine degli anni Settanta e su cui si è sviluppato il miracolo economico cinese. Su tasse più basse, su incentivi pubblici di vario genere e su una burocrazia veloce, oltre che su salari inferiori, oggi si impernia la concorrenza mossa all’Italia da Paesi e territori ben più vicini della
Cina.

LA COMPETIZIONE FISCALE
Pensiamo, ad esempio, alle numerose “zone franche” istituite in Serbia:
un’interessante miscela che unisce consistenti vantaggi fiscali e doganali e bassi costi del lavoro a quelle “economie di agglomerazione” che erano tipiche dei nostri distretti industriali. Senza scordare, infine, la capacità di attrazione che tasse basse e buona amministrazione esercitano sugli investimenti diretti delle nostre imprese da Paesi e territori dove i salari nominali non sono certo inferiori ai nostri. È il caso della regione austriaca della Carinzia o del cantone svizzero del Vallese.

MENO VARIABILI
Sempre più la competizione si fa sulle tasse. Questo accade anche perché la
globalizzazione mondiale e l’unificazione europea hanno ridotto il novero delle altre variabili di confronto. In Europa la moneta unica ha rimosso il fattore, peraltro ambiguo, di competizione valutaria. Nel resto del Mondo i movimenti dei cambi rimangono comunque modesti rispetto alle misure ancora cospicue degli squilibri delle partite correnti. Nella direzione di una standardizzazione produttiva globale agiscono l’evoluzione tecnologica e, specialmente, la digitalizzazione. Una tendenza potente all’omologazione si è affermata dal lato dei consumi, con stili di vita e modelli di acquisto sempre più simili tra Paesi e popoli.

LA GLOBALIZZAZIONE DELLA FINANZA
La globalizzazione della finanza, nel male e nel bene, ha eroso barriere e abbattuto differenze, contribuendo largamente ad accrescere la mobilità del capitale. Un capitale sempre più arbitro dei destini di crescita e di occupazione di Paesi e territori e sempre più a caccia di convenienze fiscali.

I PUNTI DEBOLI DELL’ITALIA
La posizione dell’Italia non è facile in uno scenario dove la crescita dipende
dall’attrazione internazionale degli investimenti e le scelte delle imprese, italiane e non, si legano largamente a vantaggi fiscali e all’operare di un’efficiente amministrazione pubblica. Divise le entrate per il PIL “percosso” – quello totale meno l’economia sommersa – la pressione fiscale italiana sale a valori che vanno oltre i 55 punti percentuali e che rappresentano uno tra i massimi, in Europa e nel Mondo. Oltre che esoso, il nostro è un fisco complesso, che chiede ad esempio alle imprese italiane un numero annuo di pagamenti doppio rispetto a quelli delle imprese francesi. È un fisco incerto, che agisce in un sistema dove occorrono in media 1.210 giorni per ottenere una sentenza definitiva presso un tribunale contro i 394 giorni necessari in Germania.
Ed è un fisco inefficace, visto che in Italia l’economia sommersa raggiunge dimensioni che stime recenti collocano intorno ai 330 miliardi di euro, il valore del PIL austriaco.

TROPPE TASSE
L’eccesso di tassazione colpisce in Italia le imprese come i lavoratori, con un cuneo fiscale e contributivo che da noi supera di ben dodici punti la media OCSE. Dalla riduzione della fiscalità a carico del capitale produttivo e del capitale umano e da un corale sforzo di modernizzazione amministrativa occorre partire per abbattere lo svantaggio competitivo che soffriamo nei confronti dell’estero. Solo così potremo rendere la “destinazione Italia” una meta attraente per gli investimenti delle imprese degli stranieri e degli italiani e realizzare un fondamentale presupposto per la ripresa, non solo economica, del nostro Paese.

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