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La Compagnia di San Paolo e la caccia al tesoro a Torino

Torino, la Compagnia di San Paolo, la fondazione azionista della banca più grande d’Italia, ha organizzato una caccia al tesoro per festeggiare i suoi 450 anni. Da giorni, numerosi operatori (studenti, cervelli ancora non in fuga, extra comunitari che normalmente distribuiscono le offerte dei supermercati, perditempo dichiarati e non) stanno distribuendo alla cittadinanza volantini che avvisano dell’iniziativa, tutta metropolitana. Già me li vedo i papà, esteticamente progressione geometrica dei propri figlioletti, con i calzoni corti, le scarpe da ginnastica, rigorosamente di atletica, anche se loro non hanno mai corso in una pista, con le calze di spugna tirate su fin sotto il ginocchio. Tenuta, quella, ancora disponibile in cima alla pila dell’armadio essendo quella d’ordinanza nelle recenti vacanze estive per le passeggiate in montagna. Oppure la mamma in salopette che nel marsupio tiene il figlioletto piccolo e nella mano il più grandicello, biondissimo e bellissimo, da sembrare il diavolo che smania dalla voglia di trovare il tesoro e che le ripete allo sfinimento: “Ma quando lo troviamo, uffa ?!”.
O, ancora, il papà dalle chiare fattezze indiane, ma non di quelli che vanno portando con biciclette improbabili le rose nelle pizzerie. Questo è da reportage sul multiculturalismo. Ha una professione stabile, è il prototipo della perfetta integrazione e i figli, i suoi, nati in Italia, parlano l’italiano già con tanto di “ne” alla fine. Lui il papà di origine indiana usa la bicicletta perché rispetta l’ambiente che l’ha accolto, usa la pista ciclabile per cercare il tesoro e quando durante la settimana è costretto a prendere l’automobile è talmente integrato che anziché fare il bigliettino del parcheggio lascia direttamente sul parabrezza la multa da 36 Euro.

Insomma, a Torino la più potente banca, locale e nazionale, convoca i cives taurinorum per questa avventura da lei stessa promossa e sponsorizzata. Ed è già tutto uno scompiglio. Da giorni mi chiedo, roba da non dormirci la notte, dove potrà mai celarsi questo tesoro. Chissà forse in zona Crocetta, nel quartiere “in” della città, probabilmente sotto al fante che guarda la facciata del Politecnico? Oppure, alla fine di Corso Vittorio laddove si dice che ci sia la porta di accesso alla Torino Nera? Oppure, ancora, che non si trovi nei cunicoli sotterranei sotto la statua di Pietro Micca. E’ veramente un bel rompicapo.
E a furia di non dormire ormai mi sono ridotto che sento la voce di Gollum nelle orecchie! Oggi, ad esempio, mi è venuto da pensare che possa essere in qualche comune della cintura forse, mi sono detto, all’interno di qualche confezione tecno-cool in cui racchiude le sue sperimentazioni lo chef Scabin al Combal Zero di Rivoli. O, per rimanere nell’hinterland, alla buca 10 e mezzo del golf club di Moncalieri, quello sotto alle ciminiere della centrale termoelettrica che teleriscalda tutta Torino Sud. Ho chiesto perfino un parere al mio barista, promettendogli che non l’avrei svelato a nessuno. Secondo lui o è al primo binario della nuovissima Stazione di Porta Susa, quello che non finiranno mai, oppure all’ultimo piano del grattacielo, manco a dirlo, San Paolo proprio sotto il pennone su cui sventola il tricolore.

Mentre stavo ormai consumando tutta la materia grigia, mi è venuto da riflettere sul fatto che forse Sergio Chiamparino, ex sindaco della città negli anni delle grandi spese/investimenti, (quelli per la Metropolitana, per le Olimpiadi Invernali del 2006, per la realizzazione delle Spine), da poco tempo Presidente della Compagnia di San Paolo), ha pensato di convocare la cittadinanza per una caccia al tesoro dove la preda consiste, per l’appunto, nei denari della cittadinanza. Ma questa è una malignità nuda e cruda.

Ho deciso quindi di lasciare stare per un momento gli interrogativi su dove possa celarsi il tesoro, è ho iniziato a riflettere su cosa possa rappresentare, oggi, “un tesoro” per i torinesi. Per i Torinesi dei salotti cosiddetti “buoni”, “tesoro” è avere una città meno inquinata, multiculturale, che mette al centro l’arte e dove ci sia sempre un’area cani attrezzata a portata di mano, pardon di zampa. Se dai salotti buoni ci spostiamo in un doppio servizio, e parliamo con una collaboratrice domestica, questa, in un italiano a stampatello, vi risponderà che il suo tesoro è trovare il 14, l’autobus che se la ingoia in Piazza Solferino per espellerla in Via Artom, più pulito, più sicuro, meno affollato e meno caro. Per i bambini, quelli senza “r” moscia, il “tesoro” è trovare i parchi, che a Torino non mancano, senza un cumulo di bottiglie di birra che i loro genitori e/o i loro fratelli, maggiori e italiani, hanno lasciato la sera prima. Italiani sì, perché non è vero, come dicono quelli che hanno il fazzoletto verde che gli penzola sempre dal taschino, che a lasciare l’immondizia fuori posto al parco sono i rumeni (equivalente di extra-comunitario quando utilizzato in senso deteriore). Lo facciamo assai di frequente anche noi connazionali. Anche perché gli operatori ecologici, certe volte, pensano di ripulire la città solo perché girano con i mezzi a metano o elettrici. Mi spiace dirglielo ma la paletta e la scopa, dopo centinaia di anni da quando il fiorentino Barsanti ha inventato il motore a scoppio prima di Benz e Daimler, vanno ancora a olio di gomito.

Se per caso ci capita di imbatterci in un operaio, caso sempre più raro, a ben pensarci forse il tesoro è proprio trovare un operaio che lavora ancora a una catena di montaggio, scopriremo che il suo “tesoro” è lavorare, manu-fare. E se proprio non si può lavorare, almeno capire come mai per mezzo secolo ha lottato per il salario contro i padroni e oggi invece, senza manco dover lavorare, riceve un salario, che sarà basso finché si vuole, ma sempre salario per non fare nulla è. Non è che per qualcuno è un tesoro proprio la cassa integrazione in deroga?
Se entrate in un circolo Arci, il tesoro è la chiusura definitiva dei cantieri del TAV con la resa delle milizie del governo italiano che tentano di dare corso ai lavori di scavo del tunnel italo-francese. Se andate sulla sponda Toro della città, troverete i tifosi granata sperare che il tesoro di Cairo, che cresce proporzionalmente ai lunghissimi minuti, praticamente interminabile degli spot di La7, diventi tale da poter acquistare qualche rinforzo alla squadra in modo da battere i maledetti gobbi. In zona Tribunale, tra avvocati, magistrati e giudici, invece, il tesoro è un banchetto a casa di Marco Travaglio con, al centro della lunga tavolata, servita su di un piatto, la testa di Silvio Berlusconi aperta come nei disegni di fisiologia dell’ottocento e nella quale giacciono, come in un racconto di Shelley, tutti i modi per fare soldi a mezzo sinallagma: le imprese che inquinano, quelle che evadono, quelle che fanno operazioni finanziarie nei paradisi fiscali, quelle che non hanno nominato la figura del RSPP, quelle imprese che si candidano a bandi pubblicati da amministrazioni che non possono non avere aderenze con la criminalità organizzata e quelle imprese che non si candidano a bandi pubblicati da amministrazioni che non possono non avere aderenze con la criminalità organizzata e che, così facendo, lasciano deserte le gare che saranno poi vinte da imprese con infiltrazioni mafiose.
A La Stampa, il direttore Calabresi ha fatto sapere che lui alla caccia al tesoro non parteciperà perché lui il tesoro l’ha già trovato e si tratta del collega Quirico, tornato sano e salvo dalla Siria con tanto di ebook già pronto. Con tanto d’informazioni che fanno chiarezza sulla questione delle armi chimiche, pare almeno moderatamente.
Io, infine, alla caccia al tesoro comunico che non parteciperò perché essendo ancora arrabbiato con i Piemontesi per quella storia dell’unità d’Italia, malgrado i centocinquant’anni, so già che nel caso non riuscissi a trovarlo inizierei a questionare sul fatto che è roba dei miei antenati e via dicendo attirando, a tutta prima l’ilarità generale e poi anche qualche gendarme.



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