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La guerra dei banchieri per il controllo dei derivati

Per cominciare dobbiamo ricordarci che i banchieri non sono tutti uguali. Da una parte ci sono quelli che pensano a far soldi. Dall’altra quelli che decidono (o dovrebbero decidere) come farli girare.

Semplificando, la differenza fra banchieri che fanno affari e banchieri centrali sta tutta qua.

I primi sono gli alfieri del laissez faire, e vedono come fumo negli occhi qualunque interferenza nel libero gioco del mercato.

I secondi sono i portabandiera della regolazione e i creatori di quell’Internazionale che ormai ha eclissato gli stati nazionali, a cui è rimasto in carico solo la ratifica di decisioni prese da organismi tecnici sulle questioni finanziarie. Per ora.

Spingendo avanti la semplificazione, si potrebbe dire che nello splendido mondo della finanza, il conflitto storico fra Stato e Mercato (che poi in realtà non è mai esistito, come vedremo prima o poi) si è trasformato in una guerra fra banchieri d’affari/commerciali e banchieri centrali (che al contrario di quello fra Stato e mercato è molto concreta).

Le cronache di questi giorni ci raccontano  uno dei capitoli più avvincenti di questo conflitto strisciante, purtroppo relegato nelle pagine salmonate dei giornali finanziari. La materia d’altronde è quantomai astrusa: la gestione dei margini degli strumenti derivati non trattati direttamente da controparti centrali.

Prima di spaventarvi, ricordate che dietro la complessità, nelle questioni economiche, si nascondono sempre semplici questioni di denaro.

La novità è che pochi giorni fa la Banca dei regolamenti internazionli e lo Iosco hanno rilasciato il documento finale che fissa, appunto, i requisiti di margine per i derivati OTC (over the counter), ossia quelli che non vengono compensati nelle clearing house.

La Bri la conosciamo tutti.

Lo Iosco, invece,  International Organization of Securities Commissions, è noto solo agli addetti ai lavori. Perciò può essere utile ricordare che si tratta di un’entità burocratica internazionale che si occupa della regolamentazione dei valori mobiliari, quindi i vari titoli. Lo Iosco lavora gomito a gomito con il G20 e il Financial Stability Board (FSB) alla riforma globale della regolamentazione. Insomma: è uno dei componenti fondamentali dell’Internazionale. E anche di livello. L’insieme degli aderenti allo Iosco copre il 95% dei mercati di titoli di tutto il mondo, raggruppa 120 regolatori nazionali e 80 mercati mobiliari, fra i quali anche quelli dei principali mercati emergenti.

Questi due giganti della regolazione hanno unito le forze per mettere ordine in uno dei settori più controversi (e redditizi) della finanza: i derivati OTC, appunto, più volte indicati, per il livello di valore nozionale raggiunto, come uno dei maggiori fattori di rischi sistemici per il mondo finanziario.

Questo ci dice già qualcosa. Ci dice che la prima battaglia della guerra fra le nostre due pattuglie di banchieri se l’è aggiudicata quella dei banchieri/regolatori. Ma solo grazie alla crisi, che si conferma essere la loro migliora alleata.

L’idea di mettere sotto tutela il settore dei derivati OTC, infatti, arriva nel 2009, all’apice della crisi iniziata sottotraccia un paio di anni prima. I paesi del G20, come al solito spaventati dai disastri provocati dall’avidità dei banchieri d’affari, decisero di varare un programma per il contenimento del rischio sistemico provocato da questi strumenti che l’esperienza aveva mostrato essere troppo opachi (contrattati fra operatori senza nessuna trasparenza) e rischiosi (per rischio di controparte).

Le linee guida decise dal G20 erano quattro:

1) tutti gli strumenti derivati OTC standard devono essere scambiati su piattaforma elettronica;

2) devono essere intermediatate da controparti centrali;

3) I contratti OTC devono essere depositati presso le trade repositories, ossia entità burocratiche le li custodiscono, per aumentare la trasparenza;

4) I derivati non mediati dalle controparti centrali devono essere soggetti a requisiti più elevati di capitale.

Nel 2011 il G20 stabilì che bisognasse fissare dei requisiti di margine, ossia di capitale versato a fronte dell’apertura di una posizione, a tutti i derivati non mediati dalle controparti centrali e diede incarico alla Bri e allo IOSCO di occuparsi delle cose noiose, ossai i dettagli.

E arriviamo così alle norme presentate pochi giorni fa, che implicano una pesante messa sotto tutela degli operatori finanziari.

Le nuove regole prevedono che gli operatori che effettuano operazione su derivati OTC senza passare per le clearing house dovranno versare margini iniziali ”commisurati ai rischi di controparte collegati a tali operazioni”. Tradotto vuol dire che se vorranno giocare col fuoco dovranno mettere sul tavolo molti più fiammiferi sul tavolo.

Fuor di metafora, versare margini “commisurati” riduce di fatto la possibilità per questi operatori di aumentare indefinitivamente la leva finanziaria: meno risorse ho per giocare (perché mi sono rischiesti più margini) meno danni posso fare. Va detto che per versare i margini un operatori può anche utilizzare “un’ampia gamma di garanzie reali”.

Lo scopo è evidente e dichiarato dal duo dei regolatori: “Fornire alle società gli opportuni incentivi (o disincentivi nel caso dei margini, ndr) per ricorrere alla compensazione centrale, gestendo al contempo l’impatto complessivo della liquidità”. Quindi dare potere alle controparti centrali in luogo delle trading room delle grandi banche.

Per dar tempo agli operatori di adeguarsi, i regolatori fissano un arco di quattro anni per l’entrata in vigore delle nuove regole che, dicono “sono una novità il cui impatto diverrà chiaro soltanto col tempo”.

Per comprendere la portata di tale riforma, vale la pena leggere l’intervento di Andreas Dombret, componente del board della Bundesbank, pubblicato lo scorso 2 agosto su Borsen-Zeitung. Il nostro banchiere centrale elogia le norme, all’epoca in via di rilascio, ricordando che fino ad oggi appena il 13% dei derivati OTC vengono regolati tramite le controparti centrali. “Un numero ristretto di grandi banche – dice Dombret – giocano un ruolo determinante in queste contrattazioni”. E ciò genera un rilevante rischio di controparte che può essere ridotto “spostando queste contrattazioni sulle clearing house che in futuro saranno in grado di gestire anche default simultanei”. Una rivoluzione che secondo Dombret assimilabile a “una juggernauts del sistema finanziario globale”.

I banchieri d’affari masticano amaro. I loro allarmi sulla rischiosità delle clearing house, volenterosamente riportati dal solito Financial Times lo scorso 7 luglio, sono caduti letteralmente nel vuoto. Troppo recenti sono i ricordi dei danni provocati dai questi praticoni del laissez faire.

Ma si tratta solo di avere un po’ di pazienza. Aver perso una battaglia (e una corposa fetta di profitti) non significa aver perso la guerra.

Al contrario. Lo stesso Dombret, in un intervento del 30 agosto scorso al simposio sul mercato finanziario che si è tenuto ad Alpbach ha ricordato che la forza della regolazione trova il suo limite nella grande fantasia dimostrata dai banchieri d’affari nell’escogitare soluzioni capaci di eludere le regole così faticosamente elaborate.

Nel suo intervento il banchiere centrale tedesco punta l’indice sullo shadow banking, ossia su quell’insieme di soggetti e attività che agiscono al di fuori della regolazione per il semplice fatto che non sono banche. “I dati disponibili indicano che siamo di fronte a una sfida molto seria”, dice Dombret. Tanto è vero che le banche ombra sono state oggetto delle raccomandazioni pubblicate di recente dal Financial stability board in vista del vertice del G20 russo, dove i banchieri centrali auspicano vengano discusse.

Il problema, spiega, è che “il sistema bancario ombra si adatta molto velocemente al fine di eludere le misure di regolazione”. Fatta la legge, si trova sempre l’inganno.

E così la guerra continua.

Vinta una battaglia, se ne può sempre perdere un’altra.



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