L’Australia va al voto. Nell’agenda dei candidati la politica estera è in parte legata alla questione immigrazione e a come gestire l’arrivo dei “boat people” con la pratica di delocalizzazione dei centri dove sono detenuti i migranti irregolari giunti via mare. L’attualità pone anche l’evolversi della crisi siriana in primo piano. Sulla stampa internazionale si guarda però al rapporto di Canberra con le due superpotenze: Cina e Stati Uniti.
Un equilibrio che vede da una lato i rapporti economici e dall’altro un’alleanza salda da decenni. La vera scelta del 7 settembre, scrive Hugh White, professore di studi strategici alla Australian National University, non sarà tra il primo ministro uscente, il laburista Kevin Rudd, e il suo avversario liberale, Tony Abbott (nella foto), ma tra Washington e Pechino.
“Niente conta di più nel lungo termine che gestire il sempre più difficile bilanciamento tra i due Paesi più forti al mondo. Se Abbot dovesse vincere – e i sondaggi dicono tutti che lo farà – il modo in cui navigherà tra il più forte alleato dell’Australia e il suo principale partner commerciale sarà determinante per il destino del suo governo e del Paese”, aggiunge.
Sulla stessa linea è Michael Fullilove, direttore esecutivo del Lowy Institute for International Policy, che in un commento sul New York Times, ricorda come Canberra sia diventata una delle punte di un triangolo strategico che la collega a Washington e Pechino. Dei tre lati quello che unisce gli australiano agli statunitensi è il più solido. L’Australia è al centro del riposizionamento americano in Asia, tuttavia i diplomatici australiani si sforzano per mantenere sul giusto binario le relazioni con i cinesi.
Il perché è nei numeri forniti dalla Australian Financial Review a fine agosto, secondo la dipendenza dell’Australia dalle importazioni cinesi non ha paragoni negli ultimi 63 anni di scambi con altri Paesi, sorpassando addirittura la Gran Bretagna del dopoguerra. Non soltanto Pechino è il primo acquirente di prodotti minerari, ma anche di prodotti agricoli, mentre scala la classifica per quanto riguarda il manifatturiero.
Il premier uscente Rudd, tra i pochi leader politici al mondo a parlare mandarino, ha però dichiarato che il Paese si trova a un punto di svolta e dovrà diversificare per non fare affidamento soltanto sulla Cina. Se Rudd è un ex diplomatico ad Abbot è rimproverata la mancanza di esperienza in politica estera.
Secondo il South China Morning Post di Hong Kong, potrebbe però ripetere la sorpresa del suo mentore, John Howard, che in visita in Cina nel 1997 capì le opportunità che offriva. Forse in questo senso è da leggere l’intervista al Sydney Morning Herald, con cui Abbott ha annunciato che in caso di vittoria i primi viaggi da premier saranno in Cina, Indonesia, Giappone e Corea del Sud e non dagli storici alleati Usa e Gran Bretagna.