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L’Iran al centro dell’attenzione della 68° Assemblea Generale delle NU

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24 settembre 2013, prende avvio la 68° sessione annuale del dibattito in seno all’Assemblea Generale dell’ONU, il principale organo rappresentativo e deliberativo delle Nazioni Unite. Un importante appuntamento durante il quale capi di stato e di governo dei 193 stati appartenenti alla più grande organizzazione mondiale si incontrano per discutere i questioni internazionalmente rilevanti.

Quest’anno, all’Assemblea Generale, gran parte dell’attenzione è dedicata all’Iran e alle mosse del suo nuovo presidente, Hassan Rouhani. Sin dal suo discorso di insediamento, dedicato in particolare al potenziamento economico del paese e al miglioramento della situazione dei diritti delle donne e delle libertà dei cittadini,  la comunità internazionale ha sperato in un effettivo cambiamento di rotta della sua politica, soprattutto in relazione al programma nucleare.

L’Iran ha dato avvio al programma negli anni ’70, grazie anche al supporto degli Stati Uniti. Il primo reattore nucleare fu infatti venduto dall’American Machine and Foundry nell’ambito del programma Atoms for Peace. Nei primi decenni di sperimentazione e crescita, il nucleare venne promosso in un’ottica di riduzione del consumo di petrolio e gas. È a partire dal 2002 che il mondo intero ha iniziato a dubitare circa il reale obiettivo della Repubblica Islamica. Dopo alcune rivelazioni da parte di esponenti dell’opposizione circa la presenza di sconosciuti impianti (ad Rak e Natanz), la fiducia sull’effettiva trasparenza della politica iraniana ha iniziato a traballare. Nel tempo il timore di avere a che fare con un paese dalle velleità militari nucleari è cresciuto sempre di più, fino a giungere alle sanzioni imposte dalla comunità internazionale a partire dal 2006 e che tutt’oggi affliggono gran parte dell’economia iraniana.

Nonostante l’elezione di un moderato e la possibilità di valutare il ristabilimento di un dialogo costruttivo con l’Iran, alcuni soggetti della sfera internazionale hanno continuato ad essere scettici sul ruolo dell’Iran. In particolare si ricorderà la posizione aggressiva di Israele, quando a luglio 2013 il presidente, Benjamin Netanyahu, ha minacciato il ricorso ad azioni unilaterali per contrastare la temuta finalizzazione del programma nucleare militare.

La posizione di Israele non sembra mutata, tuttavia la situazione sembra fornire ulteriori spunti di riflessione. Sia l’Ayatollah Khamenei che il presidente Rouhani cercano di avere un approccio più costruttivo rispetto all’ex presidente Ahmadinejad. I toni e i discorsi che hanno caratterizzato le ultime settimane politiche dell’Iran indicano un percorso più flessibile e adatto a negoziare le evoluzioni interne ed internazionali, senza impeti violenti e autoritari.

Il 17 settembre 2013, in un discorso rivolto alla corpo delle guardie della rivoluzione islamica, Khamenei ha esplicitamente affermato che la componente militare non deve svolgere un ruolo attivo nella politica. Parlando di politica estera, ha posto l’accento sulla necessità di avere un atteggiamento flessibile e mite, “perché questo approccio è necessario affinchè ci si possa attenere ai nostri principi”. Nella stessa occasione l’Ayatollah ha fermamente rigettato le accuse di essere in procinto di sviluppare un’arma nucleare: “Non crediamo nelle armi nucleari, non per il bene dell’America o degli altri paesi, ma perché è una nostra convinzione. Quando diciamo che nessun paese dovrebbe possedere l’arma nucleare, noi stessi non cerchiamo di possederne”.

La politica della guida suprema dell’Iran si associa così a quella del presidente Rouhani il quale in un intervista con la NBC il 18 settembre 2013 ha affermato che il paese “non ha mai conseguito o cercato di conseguire una bomba nucleare”. Ha proseguito Rouhani: “Cerchiamo solo di ottenere tecnologia nucleare per usi pacifici”. Rouhani ha richiesto una collaborazione con i paesi occidentali in una logica di pace e di amicizia affinchè il programma nucleare per usi pacifici possa proseguire in accordo alla normativa internazionale. Solo grazie a questa collaborazione l’Iran si dice pronto a risolvere problemi regionali e persino globali.

A contrastare questo avvicinamento all’Occidente c’è il corpo delle guardie della rivoluzione islamica. “L’esperienza passata”, si legge in un loro comunicato, “rende necessario monitare in modo scettico il comportamento dei funzionari della Casa Bianca, in modo tale che le richieste della nostra nazione siano riconosciute e rispettate da coloro che favoriscono l’interazione”.

Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha fatto sapere che Obama ha accolto con favore le recenti evoluzioni politiche dell’Iran. Altri dettagli hanno colpito positivamente l’attenzione, tra cui la presenza di un legale ebreo nella delegazione iraniana all’Assemblea Generale delle NU e il rilascio di alcuni prigionieri politici. Tuttavia, la fiducia americana non è totale e, come specificato da Carney, la situazione continuerà ad essere monitorata al fine di valutarne gli effettivi sviluppi.

Intanto tra i due presidenti c’è stato uno scambio di lettere, confermato dallo stesso presidente Barak Obama. A New York c’è anche chi attende un incontro tra i presidenti americano ed iraniano, nonostante fonti ufficiali della Casa Bianca abbiano chiarito che non ci sono incontri in programma.

E probabilmente la possibilità di vedere una storica stretta di mano tra i due paesi è resa ancor più vana dagli ultimi eventi che hanno visto l’Iran esporre 30 missili a medio raggio (di tipo Sejil e Ghadr – gittata di 2.000 chilometri) in grado di colpire Israele e le basi statunitensi in Medio Oriente. La dimostrazione è stata inserita nell’ambito della parata militare annuale con la quale Teheran commemora la “Sacra difesa” dall’attacco iracheno degli anni ’80. Rouhani ha precisato che le dotazioni iraniane saranno utilizzate solo a fini difensivi. Ha colto poi l’occasione per ricordare che la vera minaccia sono gli arsenali chimici e nucleari di Israele.

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