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Ecco fini e mezzi dell’intervento militare in Siria

Pubblichiamo un articolo del dossier “Berlusconi a Strasburgo, Siria, Al-Jazeera in America” di Affari Internazionali.

L’attacco degli Stati Uniti assieme a qualche altro volenteroso in Siria dovrebbe colpire in modo mirato, con mezzi missilistici ed eventualmente aerei, obiettivi specifici con un intento punitivo e di deterrenza.

Al momento non si vuole che sia l’inizio di qualcosa di più ampio, ma l’esperienza di secoli di conflitti indica quanto siano spesso illusorie simili volontà. Il presidente Barack Obama sta mostrando fino all’ultimo prudenza, dopo aver sottolineato l’esigenza di una legittimazione possibilmente da parte delle Nazioni Unite e volendo essere in grado di mostrare prove inconfutabili della colpevolezza del regime siriano.

All’interno dell’amministrazione americana, accanto alle preoccupazioni del Pentagono che si prepara comunque ad ogni opzione, forte è la spinta di chi vuole ripetere in nome dell’interventismo umanitario quanto fatto in Kosovo e non fatto in Ruanda e preservare la credibilità degli Stati Uniti e delle leggi internazionali contro certe armi di distruzione di massa.

Danni collaterali
L’attacco “chirurgico” a obiettivi specifici che ha in mente Obama è la reazione ad un fatto di inaudita gravità e all’impotenza della politica di fronte alla tragedia umanitaria e ad una situazione sul terreno che va in direzioni del tutto diverse da quelle volute.

Assad, rafforzato dalla copertura russa e dal sostegno iraniano e di Hezbollah ha recuperato iniziativa e territori; l’opposizione è divisa e chi in quella galassia si impone sul piano militare sono i gruppi jihadisti, mentre il fronte regionale anti Assad imperniato sull’asse Turchia-Qatar, in competizione con quello guidato dall’Arabia Saudita, è oggettivamente indebolito dall’uscita di scena dei Fratelli Musulmani in Egitto.

L’intervento statunitense rischia di produrre danni collaterali con vittime innocenti in contrasto con i princìpi che vietano le punizioni collettive. Le loro immagini saranno mostrate come esempio dell’ipocrisia occidentale e del suo doppio standard.

Se sarà di dimensioni troppo ridotte non avrà influenze di rilievo sull’andamento del conflitto e sulla sorte del presidente siriano Assad, a parte la soddisfazione di avergli inflitto una punizione. Per avere una maggiore efficacia occorrerà una sua estensione simile a quella verificatasi in Kosovo.

Ma contro quali obiettivi andrebbe una intensificazione degli attacchi aerei? E per fornire copertura sul terreno a chi? In Kosovo e in Libia vi erano bene o male forze che si volevano sostenere, ma in Siria si rischierebbe di fiancheggiare militarmente Al Qaeda.

Disegno mancante
Un sostegno ad altre forze, tra le quali prevalgono comunque quelle vicine ai Fratelli Musulmani, richiederebbe uno sforzo politico e militare, come in Iraq e in Afghanistan, con presenze sul terreno i cui effetti rischierebbero di rivelarsi ancora più negativi per le posizioni e gli interessi occidentali. Nel caso dell’Iraq, inoltre, l’amministrazione Bush aveva un disegno, anche se sbagliato, fallimentare e mal pianificato, ma in Siria un disegno sembra ancora da costruire.

Infine, nel caso del Kosovo e in una certa misura anche in quello dell’Iraq, la Russia era ancora una realtà debilitata dal collasso dell’Unione Sovietica. Oggi è tornata a essere una potenza che se lo vuole può dare molto filo da torcere, anche senza un intervento diretto, a chi decidesse di sfidarla.

Tra i diversi rischi vi è anche quello, come per l’Iraq nel 2003 seppure in modo meno drammatico, di una frattura nell’ambito dell’alleanza occidentale e dell’Unione Europea. Non è certo quello di cui vi è bisogno nel momento in cui è invece più che mai necessaria la coesione tra i paesi dell’Unione per uscire dalla crisi economica e dai pericoli di irrilevanza geopolitica attraverso più integrazione in tutti i campi incluso quello della politica estera e di difesa.

Improbabile stabilizzazione
L’intervento militare non porterebbe all’auspicata stabilizzazione, a meno che non vi sia una ritrovata convergenza di analisi e di azione nella Comunità internazionale, oggi quanto mai difficile, in grado di condizionare in modo effettivo gli attori locali. Intanto proseguirebbe l’attuale stato di paralisi, di conflitto e di emergenza umanitaria.

L’Iran non completerà verosimilmente il suo disegno di realizzazione di un arco sciita continuo dai confini dell’Afghanistan al Libano, ma ad impedirlo saranno soprattutto le forze jihadiste sunnite.

Arriverà il momento del necessario compromesso e della composizione dei diversi interessi locali, regionali e a livello globale? La stabilizzazione e con essa le opportunità di crescita e la piena agibilità delle risorse energetiche in gioco convengono a molti, ma non a tutti.

Resta comunque il problema, per tutta la Comunità internazionale, di salvaguardare la credibilità e l’osservanza dei divieti dell’uso di armi chimiche. Il diritto positivo esistente offre lo strumento della Corte penale internazionale di cui ha parlato il Ministro Emma Bonino.

Non vi è dubbio che il suo percorso è quanto mai difficile. Perseguirlo potrebbe però permettere di riprendere un dialogo all’interno delle Nazioni Unite, con la partecipazione di tutti i principali attori, e forse consentire di non chiudere totalmente le prospettive di un percorso centrato su una seconda conferenza di Ginevra, ancora non formalmente archiviata.

Maurizio Melani è ambasciatore d’Italia.

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