Ci sono eden naturali e quelli di altra natura, ovvero i celeberrimi paradisi fiscali, così definiti in quanto offrono un regime di tassazione particolarmente vantaggioso sulle persone fisiche e sulle attività economiche. Ci sono poi imprese ed imprenditori che per realizzare i loro prodotti, liberamente o costretti dal mercato, decidono di impiantare siti produttivi in Paesi dove il costo della manodopera e della burocrazia è nettamente più basso rispetto al loro Paese d’origine: è il fenomeno sempre più diffuso chiamato delocalizzazione produttiva. Attraverso poi la costituzione di società ad hoc con sede legale nei citati paradisi e triangolazioni commerciali tra i diversi soggetti si possono abbinare i vantaggi fiscali e la maggiore competitività economica dovuta ai minori costi di produzione, consentendo all’impresa – quindi agli azionisti o all’imprenditore – di ottenere maggiori profitti, ovvero maggiori guadagni
Senza voler entrare in tecnicismi per addetti ai lavori che risulterebbero noiosi e che spesso, data la materia complessa, sono peraltro soggetti a molteplici interpretazioni con conseguenti strascichi di contenziosi tributari, è doveroso precisare che tali progetti di architettura aziendale sono ampliamente realizzati e suggeriti dai professionisti in quanto presunti conformi alla legge, in una parola sono leciti.
Il confine che separa poi una siffatta e spesso sofisticata costruzione da operazioni irregolari o illecite – elusione fiscale – è altrettanto complesso e troppe volte appare fumoso, quindi di difficile individuazione. Nondimeno, quello dell’elusione fiscale è un fenomeno grave e di pesante impatto sull’equilibrio dei conti pubblici, ben più ampio e dannoso di quello legato al caso dell’evasione. Non ricordo l’esatta cifra della liquidità stimata e parcheggiata nei conti correnti delle banche dei paradisi fiscali, ma ho ben presente lo stupore che provai quando la appresi. In ogni caso, ammonta a migliaia e migliaia di miliardi di dollari o euro, come preferite
È comunque all’evidenza di tutti, anche di coloro i quali oggi fingono di non accorgersene, la prassi consolidata da parte dei grandi gruppi, industriali e bancari, finanziari o di servizi, pubblici o privati, quotati nelle Borse mondiali e non, ricorrere a triangolazioni, fatturazioni e sovra fatturazioni estero su estero. Per dimensioni, fatturati, organizzazioni complesse e distribuzione internazionale è inevitabile che ricorrano a tali operazioni.
Ritengo sbagliato esprime giudizi di carattere etico su tali attività: il denaro non ha confini ed è illusorio e stupido pensare di ingabbiarlo: meglio sarebbe prenderne seriamente atto, smetterla di chiamare alcuni Paesi paradisi e concentrarsi invece sulla realtà degli inferni fiscali domestici, cercando magari un cambio di paradigma nei rapporti spesa pubblica – fisco – impresa – cittadino.
Infine, una brevissima considerazione ed una domanda sul tema che ci affligge e affliggerà nelle prossime settimane indipendentemente dalle simpatie politiche, ovvero la condanna del Cavaliere per la nota faccenda dei diritti Mediaset.
La prima riguarda il reato e la sentenza, la seconda le sue possibili implicazioni politiche ed economiche. La fattispecie descritta rientra in un sistema di sovra fatturazioni estero su estero che, pur non entrando nel merito della surreale vicenda Esposito, anche molti giuristi non schierati leggono nella sentenza più come un’opinione dei giudici che un fatto oggettivamente provato. C’è quindi un aspetto rilevante non solo in termini di diritto, bensì politico per i futuri destini del Paese, data la figura del condannato ed il ruolo che esercita quale di leader di un partito, cioè dello strumento principale previsto dalla Costituzione con il quale i cittadini partecipano alla vita repubblicana in un regime democratico. La seconda – la domanda – diventa quindi una conseguenza: ma se tutti i grandi gruppi ricorrono al sistema “ideato” da Berlusconi, dobbiamo aspettarci nei prossimi giorni un avvio di indagini, processi e possibili future condanne per tutto il sistema economico, produttivo, finanziario e terziario italiano? Oppure anche no …