Skip to main content

Perché i signori pacifisti infestano solo la Val di Susa?

Grazie all’autorizzazione dell’editore, pubblichiamo il commento di Diego Gabutti apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Grazie a Vladimir Putin, un famoso pacifista, uno che mai e poi mai avrebbe raso al suolo mezza Cecenia se i ceceni non avessero fatto i cattivi, e anche cosi lo ha fatto con la morte nel cuore, perdendoci persino un po’ l’appetito ecco, grazie a Putin, la pace è salva, e quel pericoloso guerrafondaio di Barack Obama, un lupo repubblicano travestito da agnello, è stato umiliato e messo in un angolo, ironizza sul Corriere Pierluigi Battista commentando gli urrà dei pacifisti nostrani. Di cui non c’è più traccia nei talk show e nelle piazze, dove dieci anni fa impazzavano, perché evidentemente da pochi che erano all’inizio del millennio sono diventati pochissimi. Sopravvivono, questi dinosauri, solo in qualche raro fondo di giornale, nelle encicliche papali e nel blog di Beppe Grillo.

Invecchiato, ingiallito ai bordi, il pacifismo italiano non sopravvive nemmeno come puro spirito. Più che a portare la pace nel mondo, le antiche truppe pacifiste sono più interessate a spiare segnali di guerra in Val di Susa, dove chi predica la pace sociale rischia di buscarle da qualche anarcoinsurrezionalista. Coltiva, però, le vecchie fratellanze ideologiche, almeno in parte. In Siria, per esempio, più che con Bashar al-Assad si schiera col Cremlino, come tutti i pacifisti italiani dal 1945 in poi.

Anche all’epoca di Saddam nei primi novanta, poi dell’11 settembre e dei talebani afghani, quindi di nuovo di Saddam nel 2003, e prima ancora, ai tempi della guerra di Corea e di quella del Vietnam, poi dello scontro sugli euromissili, i pacifisti italiani si sono sempre infallibilmente schierati col Soviet supremo e con i suoi eredi. È sempre stato un pacifismo di tipo assai speciale, che inneggia alle guerre dette «di liberazione» o di guerriglia, scappellandosi di fronte al ritratto di Che Guevara e beandosi (in tempi dopotutto non così remoti) per le imprese dei pasdaran iraniani, ma che s’appella a Gesù, a Gandhi e al Santissimo Buddha non appena una guerra si propone di difendere le istituzioni democratiche, quando ci sono, o di diffonderle quando mancano.

Presidente democratico, forse il meno carismatico degli ultimi cent’anni, ma più isolazionista di qualsiasi presidente repubblicano, quindi molto apprezzato da chi tifa per «le moltitudini», Barack Obama ha tradito la promessa che aveva fatto, un paio d’anni fa, al parlamento egiziano d’obbedienza islamista: ma più gli Stati Uniti d’America metteranno becco negli affari interni d’un paese timorato d’Allah.

Continua la lettura su Italia Oggi


×

Iscriviti alla newsletter