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Quel convegno “omofobo” che non s’aveva da fare

Alla fine sabato scorso si è tenuto il convegno “La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo?”, nel bellissimo Palazzo della “Gran Guardia”, in piazza Bra, a Verona. Nonostante che da diversi giorni si era scatenato un tam-tam mediatico sull’evento omofobo, sull’attentato alla democrazia, sul clima di “odio”, “intolleranza” che gli organizzatori, Alberto Zelger e Virginia Coda Nunziante, avrebbero provocato o indirettamente alimentato con la loro iniziativa. Iniziativa che ha ottenuto peraltro il saluto iniziale del Vescovo di Verona, Mons. Giuseppe Zenti, ed il contestato patrocinio da parte della Giunta municipale di Verona.

«Il Comune ha patrocinato un evento teatrale delle associazioni omosessuali perché ognuno ha diritto di dire la propria opinione, così come abbiamo dato il patrocinio a un convegno che dice esattamente l’opposto. Non capisco il problema», ha risposto alle critiche il sindaco della città scaligera, Flavio Tosi. Il primo cittadino leghista ha quindi aggiunto, «Pensare che i gay siano malati è un’opinione legittima, non è reato. Fino a qualche hanno fa l’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, metteva l’omosessualità nella categoria delle malattie, voi pensate che all’Oms fossero tutti omofobi? Bisogna avere rispetto di tutte le opinioni. Non sono d’accordo, ma non posso aver il diritto di impedire che uno dica che l’omosessualità è una malattia» (cit. in Omofobia, Tosi nella bufera, in Corriere del Veneto.it, 12 settembre 2013).

Immediata la replica del parlamentare padovano Sel Alessandro Zan, il quale ha invitato il sindaco a ritirare il patrocino ed, addirittura, a dimettersi. «Flavio Tosi – ha dichiarato infatti l’esponente vendoliano – dovrebbe sapere che l’omosessualità è una variante naturale del comportamento umano tanto quanto l’eterosessualità. Patrocinare un convegno come quello di Verona in cui si porteranno tesi che incitano alla discriminazione non è la stessa cosa che patrocinare un evento teatrale delle associazioni omosessuali come Tosi vuole far credere».

Anche dal Fatto quotidiano non sono state risparmiate le proteste. Paolo Tessadri ha per esempio rilevato che, nello stesso momento in cui venerdì scorso, sempre a Verona, si tiene «la marcia per ricordare il più grande scandalo di pedofilia in Italia, compiuto in un istituto per sordi», il sindaco Tosi «nega il patrocinio ma lo concede a un convegno che ha il tono dell’omofobia» (Verona, no alla marcia contro la pedofilia, sì al convegno omofobo, in Il Fatto quotidiano, 18 settembre 2013). Oltre al fatto che la posizione di Tosi contro la pedofilia è a tutti nota e risultante da fatti concreti, come l’ordine del giorno sottoscritto nel 2009 dalla sua giunta che ha equiparato la pedofilia ad un vero e proprio “crimine contro l’umanità” (proprio a seguito delle denunce dell’istituto per sordi di cui ha parlato Il Fatto quotidiano), va aggiunto che tutti i relatori al convegno (fra gli altri, lo storico Roberto de Mattei, il filosofo del diritto Mario Palmaro, l’infettivologa Chiara Atzori e la docente di PsicoNeuroEndocrinologia Dina Nerozzi), sono stati docenti qualificati di varie discipline nonché medici. Nelle loro relazioni hanno spiegato che quella del “gender” è, al massimo, una teoria, e che loro, con argomentazioni storiche, giuridiche, psichiatriche ed etiche, hanno confutato a tutto tondo.

Eppure, ancora una volta, abbiamo assistito sui giornali e sul web non ad un legittimo dissenso circa le motivazioni degli “avversari”, ma la teorizzazione della censura nei confronti di tutti coloro che non la pensano come la vulgata omosessualmente corretta. Con la negazione del correlato diritto di esprimere il proprio pensiero e, per esempio, organizzare un convegno. Con questi metodi, come è stato giustamente scritto, si è ricascati in «quella malattia, inguaribile, a quanto pare, che si chiama Sessantotto. Chi ne è affetto si auto-attribuisce il diritto di giudicare chi sia degno di parlare e chi no, chi sia portatore di elevati valori di democrazia e libertà e chi no. Così accade che per garantire l’elementare diritto di svolgere un convegno sia necessario schierare sulla pubblica piazza un contingente di carabinieri e agenti di polizia» (Michele Majno, Verona, 21 settembre 2013. Convegno sul Gender. Brevi considerazioni sull’immoralità del Sessantotto, in Riscossa Cristiana, 22 settembre 2013).

Il convegno, grazie agli organizzatori ed ai molti volontari che li hanno affiancati, si è svolto senza incidenti, con una marea di gente attenta che l’ha seguito anche dall’atrio di ingresso della sala, nel quale era stato allestito un maxi-schermo, perché tutti i posti a sedere erano stati rapidamente riempiti.

Non sono quindi mancati, al di fuori ed all’interno del Palazzo, alcuni pre-ordinati anche se isolati schiamazzi, con un centinaio di persone, mantenute al limite della piazza dagli agenti dell’ordine. Non è mancato neanche un ulteriore inevitabile episodio di disturbo. In questo caso di uno dei “professionisti dell’anti-politica”, che non ha però tardato ad assimilarsi all’atavica pretesa del “Lei non sa chi sono io”. Si tratta di un parlamentare grillino, il quale voleva entrare nonostante i posti in sala fossero ormai esauriti, esibendo la sua patinata tessera di deputato. Il personale di sorveglianza, sia per motivi di giustizia e sia di sicurezza, non gli ha consentito di entrare e lui, per fortuna, si è sentito e visto il convegno, come tutti gli altri ultimi arrivati, dal maxi-schermo.

Se questo accadeva senza la vigenza della “legge Scalfarotto”, cosa dobbiamo aspettarci dall’avvenire in cui, se non si porrà in tempo riparo, le manifestazioni ed opinioni dovranno essere vagliate alla lice della legge contro l’omofobia?



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