Si rincorrono in queste ore, tra smentite e indiscrezioni, le ipotesi circa il nuovo Rapporto sul Cambiamento Climatico dell’Onu.
Il Panel intergovernativo del Palazzo di Vetro (l’Ipcc di Ginevra, che dal 1988 si occupa della questione) ha già dato indicazioni per la sessione di Stoccolma che si apre lunedì – la prima di una serie di tre che si chiuderanno a Berlino, ad aprile, ma anche la più importante perché centrata sulle evidenze scientifiche.
Riprende dunque a pieno ritmo la diplomazia climatica dopo una pausa che, tra qualche fallimento e qualche timido rilancio, in fondo durava dal “disastro di Copenhagen” del 2009, quando Cina e Stati Uniti si misero di traverso rispetto ad un accordo vincolante sulle emissioni.
Da allora l’agenda globale si è occupata soprattutto di crisi finanziaria e, a stretto giro, di Primavera araba. I grandi forum transnazionali hanno così finito, volenti o nolenti (più volenti che nolenti, secondo gli ambientalisti radicali) per mettere la lotta al cambiamento climatico al secondo posto.
La ripresa dell’iniziativa climatica, che culminerà in un Rapporto di Sintesi finale a Copenhagen a ottobre 2014, non deve far dimenticare però i tempi lunghi, anzi lunghissimi, che hanno caratterizzato l’impostazione del Secondo Rapporto (il primo risale addirittura al 2007). Già dal 2008-2009 infatti esisteva un’agenda e un calendario di massima.
Il gruppo di lavoro dell’Ipcc, fedele alla propria impostazione, confermerà probabilmente le tendenze al riscaldamento in atto e la loro origine nelle attività economiche. Riduzione dei ghiacci artici ed eventi atmosferici estremi hanno risvegliato l’attenzione sul tema, in particolare con la grande siccità del Midwest nell’estate scorsa con Cina e Stati Uniti che hanno alzato il livello di guardia e la Gran Bretagna da sempre attenta a condurre una politica da leader in Europa.
Per ora, però, sono solo ipotesi. Da lunedì ne sapremo qualcosa di più.