La ripresa europea ha avuto inizio da pochi mesi, seguendo con ritardo il recupero delle altre economie avanzate. Ad esempio, il ciclo americano incomincia ad entrare in una fase matura, caratterizzata da una graduale riduzione del tasso di disoccupazione.
Questa divergenza suggerirebbe un ampio divario nei tassi d’interesse, a breve e a lunga, e un cambio dell’euro tendenzialmente debole nei confronti del dollaro. Viceversa, negli ultimi mesi abbiamo visto un contagio della risalita dei tassi d’interesse Usa a quelli europei e un tasso di cambio dell’euro che non mostra segnali di indebolimento verso il dollaro. Anzi, in termini di cambio effettivo, l’euro si è addirittura rafforzato.
Non è agevole spiegare questi andamenti. Una possibilità è che essi riflettano l’attesa di un ridimensionamento dello sfasamento ciclico fra Stati Uniti e area euro nei prossimi trimestri, soprattutto grazie alla normalizzazione della stance della politica fiscale nei paesi dell’Eurozona. Naturalmente, questa è una ipotesi ottimista, soprattutto per i Paesi della periferia europea. Da essa conseguirebbe anche un riallineamento del ciclo dei profitti aziendali e un recupero delle borse europee.
A favore di uno scenario favorevole depongono alcuni indicatori congiunturali che dalla scorsa primavera hanno mostrato un rafforzamento anche nell’area della moneta unica. Lo scenario di ripresa non appare però affatto scontato, dati i numerosi segnali di fragilità, soprattutto nei Paesi della periferia.
Mentre negli Usa è concreta la possibilità che inizi l’exit strategy della politica monetaria, nell’area euro i tempi per un cambiamento non paiono ancora maturi. Lo stesso Presidente Draghi nella conferenza del 5 settembre è apparso molto cauto, e la Bce ha addirittura leggermente limato al ribasso le previsioni di crescita dell’area euro nel 2014.