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L’India scettica e realista sulla Siria

Oscurata dal duello Putin-Obama, la lotta di potenze per la definizione della questione siriana ha forse sottovalutato l’importanza di India e Cina, i due colossi asiatici emergenti che da tempo investono massicciamente su un anello fondamentale degli assetti mediorientali, l’Iran. In particolare non viene compresa la posizione indiana, che è particolarmente scettica e poco disponibile, fin dal Kosovo, a seguire l’Occidente sulla via delle guerre umanitarie.

Lo nota un recente report del Center for strategic and international studies intitolato “Doppia grana: una visione realista della potenza cinese e indiana”. Secondo il Csis in pratica è giunto il momento di dismettere le illusioni su un’alleanza naturale Usa-India basata sul comune denominatore della democrazia e del flusso di business legato alla diaspora indiana negli Stati Uniti.

Per quanto forte sia questo dato “ideologico”, l’impressione è che vi si sia fatto troppo affidamento da parte di elementi dell’Amministrazione nella certezza che, concedendo aiuti militari e strategici, i “dividendi” sarebbero comunque arrivati, prima o poi. Implicito in questo approccio generoso da parte americana è la scommessa che Nuova Delhi sarebbe alla fine disponibile a contrastare l’ascesa di Pechino a livello globale. Anche questo si sta dimostrando un assunto sbagliato. Sulle questioni globali trattate all’Onu e in altre sedi, il voto indiano è sempre più vicino a quello cinese di quanto non sia a quello americano, come dimostrano anche le trattative di Rio-2012 sul cambiamento climatico.

Secondo il rapporto del Csis, il fatto che l’India cerchi di massimizzare a suo vantaggio le tendenze globali “non dovrebbe suscitare sorprese” in un approccio realista, ma la reiterazione di un concetto così ovvio sembra suonare come un campanello d’allarme per chi a Washington, specie nella scuola contraria al realismo kissingeriano, non si capacita come una potenza emergente possa cercare di fare i propri interessi (e non quelli degli Stati Uniti).

Raja Mohan, analista strategico ed editorialista del quotidiano di Mumbay Indian Express, ipotizza che l’unico vero alleato degli Stati Uniti possa essere la Lega Araba, che da tempo lavora all’isolamento di Damasco, sospinta dall’Arabia Saudita in funzione anti-iraniana. Mohan lascia intendere che una linea più realista sia quella del compromesso e del non intervento patrocinata dall’Egitto dei militari, contrari a vedersi coinvolti in un conflitto interarabo e in qualche modo, sembra di capire, custodi di un rinnovato nasserismo – affine al retaggio indiano di Nehru e del terzomondismo afroasiatico di Gandhi. Una posizione interessante, perché questi “nasseriani” del XXI secolo hanno in qualche modo la benedizione di Ryhad, la capitale del wahabismo e salafismo e la principale indiziata di beneficiare di un intervento in Siria.

Sul tasto del pericolo islamista batte anche Brahma Chellaney, docente di studi strategici del Centro di Ricerca politica di Nuova Delhi, che vede Washington sempre più risucchiata nelle conseguenze non volute delle proprie azioni: la dipendenza regionale dal fronte sunnita guidato da Arabia Saudita e petromonarchie del Golfo, che finanziano ed alimentano l’islamismo in tutto il mondo (India compresa, sottolinea Chellaney), nonché da una Turchia in via di islamizzazione. Il consiglio del geostratega indiano è di guardare al “quadro più ampio”, senza lasciarsi guidare da “ristrette considerazioni geopolitiche che rafforzano involontariamente gli islamisti”.

È un consiglio che a Washington sicuramente interessa più degli accorati appelli alla “difesa dei valori occidentali” che vengono dai liberal-interventisti, in particolare di sponda britannica (si veda l’ultimo editoriale dell’Economist) ma anche francese. Appare oggi infatti che siano India e Cina ad avere le chiavi dell’area nel futuro, non certo un’Europa che come sempre va in ordine sparso. Sia per contenere che per coinvolgere, gli Stati Uniti dovranno dunque considerare la loro presenza in Iran. E da questa angolatura assume anche un altro peso e contenuto il rapporto dialettico con Mosca: l’attivismo russo è, potenzialmente, un ostacolo alla Cina in Medio Oriente. Se India e Cina unissero davvero le loro forze su questo scacchiere, a partire da comuni interessi energetici e strategici, solo un’alleanza di fatto Usa-Russia (con il supporto di qualche potenza europea) potrebbe bloccarle.

È quanto sta avvenendo all’ombra della “guerra fredda” Putin-Obama, sul dossier siriano.


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