Mentre lo Stato si disinteressa della politica industriale italiana, il predatore di turno Telefonica ottiene il controllo dell’ex monopolista Telecom Italia. A sottolineare i rischi per la società senza un aumento di capitale, a cui gli spagnoli di Telefonica sembrerebbero opporsi, e l’opportunità di un intervento della Cassa Depositi e Prestiti è Asati, l’associazione dei piccoli azionisti di Telecom Italia.
Le dichiarazioni di Lombardi di Asati
“Cassa depositi e prestiti – ha dichiarato in una conversazione con Formiche.net il presidente di Asati Franco Lombardi dove chiedeva un aumento di capitale riservato per la Cdp – deve intervenire su un’azienda se c’è redditività, La redditività di Telecom Italia, una volta rinforzata la struttura finanziaria, potrebbe dare ritorni con gli utili, con la rivalutazione del titolo oggi ai minimi storici. Del resto la Caisse des depots francese è intervenuta recentemente su France Telecom con 2 miliardi di euro nel 2012, insomma con una cifra significativa, credo che non sia un istituto di beneficienza no profit…”
L’aumento di capitale e il rischio downgrade
L’accordo tra i soci Telco, annunciato in data odierna, l’aumento della partecipazione azionaria di Telefonica, in due fasi, l’allungamento addirittura al 2015 per una eventuale disdetta, fino al raggiungimento di Telefonica all’intera quota azionaria di Telco,”sono solo manovre diversive di attesa, che oltre a provocare dei fuochi di artificio nel breve presto saranno deleterie per il futuro assetto di TI – ribadisce oggi l’associazione -. Se il 3 ottobre al cda non sarà proposto un aumento di capitale di almeno 3 miliardi di euro, il declassamento annunciato dalle agenzie di rating sarà impietoso, con indubbi riflessi negativi sull’andamento del titolo. Infatti, la manovra su Telco è, come nel passato, una manovra che avviene sulla scatola alta di controllo, e non altera assolutamente i parametri economico-finanziari della Società. Tra l’altro, il rischio di una nazionalizzazione di TI Argentina è potenzialmente vicina, all’eventuale passaggio di tutte le azioni dei soci italiani e il venir meno di Telco”.
Il disinteresse di governo e Parlamento
“Telefonica esercitando la funzione di direzione e controllo su TI dovrebbe, pertanto, consolidare il debito, creando un gigante di argilla con oltre 90 miliardi di debiti, e sarà costretta, in base alla normativa antitrust, a cedere – con uno spezzatino – l’attività di Tim Brasil, dando così avvio ad una via crucis per una azienda strategica per il nostro sistema Paese, e tutto ciò con un Governo e Parlamento completamente silente e disinteressato sulla vicenda del futuro di Telecom Italia. Basti pensare che il Parlamento non ha ancora nominato i componenti della Commissione parlamentare di controllo sull’attività della Cassa Depositi e Prestiti (a differenza, invece, della Commissione di Vigilanza sulla Rai prontamente nominata, appena insediatesi le nuove Camere) e non ha ancora adottato il Decreto che dovrà stabilire quali asset, ritenuti strategici nel settore delle comunicazioni, dovranno essere sottoposti alla golden share”.
L’esempio francese con France Telecom
A fronte di questo assordante silenzio della politica e, in particolare, delle istituzioni preposte al finanziamento di progetti strategici del Paese, quale il raggiungimento degli obiettivi infrastrutturali posti dall’Agenda Digitale europea, “in Europa i Governi hanno avuto comportamenti ben diversi, basti pensare alla Francia dove, nel 2003, su France Telecom (oberata da ben 68 miliardi di debito) fu disposto un aumento di capitale di 15 miliardi, di cui ben 9 sottoscritti direttamente dallo Stato”.
“E quella politica lungimirante ha dato frutti tangibili sul valore delle partecipazioni pubbliche: oggi lo Stato detiene il 27% di FT, di cui il 13.5% tramite il Fondo strategico e il 13.4% tramite l’Agence de Participations de l’Etat. In Italia, invece, la politica sembra abbandonare al suo destino l’operatore storico, in attesa del predatore di turno che oggi, finalmente, ha svelato le sue carte acquisendo, a prezzi di saldo, il controllo della quarta azienda del Paese”, concludono i piccoli azionisti di Asati.