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La Tobin Tax di Letta sarebbe stroncata anche da Tobin. Ecco perché

Il passo falso italiano è arrivato il 2 settembre. La decisione di far entrare in vigore la Tobin tax sulle transazioni finanziarie sembra profilarsi infatti come un autogoal in piena regola. Gli obiettivi erano quello, nobile, di abbattere la volatilità dei mercati, e soprattutto, quello di rimpinguare le casse statali. Peccato che i trader stiano facendo le valigie spostandosi altrove, dove la tassa non esiste. L’applicazione solo italiana e non mondiale della misura infatti contraddice anche la proposta del suo fondatore, James Tobin. Per non parlare dei legali di Bruxelles, che, non a caso, la ritengono distorsiva.

Il parere dei legali europei

I consiglieri legali dell’Unione Europea hanno avvertito 11 governi dell’Unione che le loro proposte di tassazione sulle transazioni finanziarie sono illegali. I servizi legali che consigliano gli Stati membri della Ue sostengono che le proposte, conosciute come “Tobin tax”, sono “discriminatorie”, che saranno probabilmente distorsive della concorrenza, che violano le leggi europee e che “oltrepassano la giurisdizione degli Stati membri sulla tassazione”. Pareri che sono stati respinti dalla Commissione Europea, che ha spiegato di aver “effettuato un’analisi giuridica molto accurata prima di presentare la propria proposta”. “Siamo certi – ha spiegato un portavoce della Commissione – che la proposta di tassazione sulle transazioni finanziarie sia legalmente solida e pienamente in linea con i trattati europei e con le leggi internazionali”. La proposta di tassazione non ha ricevuto un sostegno unanime fra i Paesi Ue. Gli undici Stati che hanno deciso per conto proprio di procedere sono le quattro principali economie dell’Eurozona, Francia, Germania, Italia e Spagna, e Austria, Belgio, Estonia, Grecia, Portogallo, Slovacchia e Slovenia.

La versione italiana sui derivati

Ma l’Italia si è spinta oltre. Dal 2 settembre è infatti entrata in vigore l’imposta sulle transazioni su derivati ad alta frequenza (high-frequency trading o Hft), ovvero quel sistema di operazioni finanziarie elaborate da super computer di Borsa e che avvengono in millesimi di secondo. La mossa è un ampliamento di quella entrata in validità lo scorso marzo (tassa sulle negoziazioni Hft su azioni). La misura trova la sua applicazione nella Legge di stabilità del 2012 messa a punto dal governo Monti. E come deciso nella scorsa primavera, gli scambi ad alta frequenza vengono tassati con un balzello dello 0,02% (2 basis point) sugli ordini non andati a buon fine o modificati durante la giornata. L’aliquota sembra bassa ma in realtà viene applicata su volumi enormi di scambi.

Gli obiettivi del governo

“Il governo italiano spera di stabilizzare i mercati, ridurre la speculazione finanziaria e aumentare le entrate, come gli altri dieci Paesi che stanno considerando politiche simili nell’eurozona. Ma la Tobin tax funzionerà davvero?”, si chiede l’Economist.

La proposta originaria del premio Nobel James Tobin

Del resto, sottolinea il settimanale inglese, “James Tobin, il premio Nobel americano all’economia che per primo propose la tassazione delle transazioni finanziarie nel 1972, aveva pensato a questa idea in un contesto molto diverso da quello in cui si trova il governo italiano oggi. Per Tobin questa misura avrebbe stabilizzato i mercati valutari dopo il fallimento del sistema di cambi fissi di Bretton Woods nel 1971. Tobin immaginava una tassa globale, che fosse impossibile da evitare spostandosi in paradisi fiscali offshore. Ma i problemi italiani riguardano crisi del debito, economia non competitiva e settore bancario debole, piuttosto che l’instabilità del tasso di cambio”.

Il flop svedese

Ma le critiche alla funzione stabilizzatrice di questa tassa tra gli esperti aumentano. Anche Barry Eichengreen, sostenitore della proposta originale di Tobin, spiega adesso che la versione attuale potrebbe solo aumentare i rischi sistemici e l’instabilità nelle altre aree. In pratica, “l’applicazione unilaterale della tassa risulta fallimentare quando i mercati si spostano all’estero per evitarla”. E la prova è a portata di mano. “L’esperimento svedese degli anni Ottanta con una tassa su azioni, derivati e securities è fallita a causa dello spostamento delle transazioni all’estero”.

I rischi per l’Italia

Criticità simili potrebbero attendere anche l’Italia. “Il Sole 24 Ore – prosegue l’Economist – ha riportato che i trader italiani stanno cominciando a spostare la loro residenza a Malta, che ha deciso di rimanere fuori da ogni sistema di tassazione sugli scambi. Un aspetto che, in prospettiva, sgonfia le entrate attese del governo italiano”. Tuttavia, con la decisione di non estendere la tassa ai titoli di Stato, “l’Italia ha provato ad evitare l’insidia, ribadita dal Fondo monetario internazionale, di un balzo dei costi di rifinanziamento pubblico. E questo infatti sarebbe stato disastroso per un Paese stretto dalla crisi europea del debito sovrano. Ma l’Italia ha evitato tutti i rischi potenziali di questa politica? L’opinione accademica generale suggerisce di no. Il resto dell’Europa, di certo, starà a vedere con attenzione”, conclude il settimanale inglese.


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