Nessuna legge di stabilità o parametri su debito e deficit imposti da Bruxelles da rispettare. Ma solo nella forma, negli Stati Uniti. Il Congresso americano si trova infatti spaccato in materia finanziaria, e nella speranza di un accordo tra democrat e repubblicani che bloccherebbe i finanziamenti pubblici, il temuto shutdown, e di conseguenza, causerebbe la chiusura di uffici federali e lo stop a programmi assistenziali. Una bufera che si abbatte su Washington pochi giorni prima della decisione sull’aumento del tetto del debito.
Il nodo dell’Affordable Care Act
Nelle ultime ore prima del voto che si terrà nel pomeriggio, i repubblicani cercano di smontare l’Obamacare, il piano sanitario voluto dal presidente Barack Obama. Meglio tagliare la spesa piuttosto che tassare i redditi più alti per finanziare sussidi alla popolazione, sostengono i repubblicani. La Camera dei Rappresentanti, a maggioranza repubblicana, ieri ha approvato un emendamento alla legge di bilancio che rinvia di un anno l’entrata in vigore dell’Affordable Care Act, la legge di riforma sanitaria voluta da Obama, nonostante la minaccia di veto da parte del presidente. La legge ora torna al Senato, dove il leader della maggioranza democratica, Harry Reid, ha già annunciato che l’emendamento repubblicano verrà respinto.
Il rischio shutdown
Restano quindi solo poche ore per approvare una legge di bilancio spogliata di qualsiasi emendamento che comprometta la riforma sanitaria. In caso contrario, a partire da martedì, quando terminerà l’anno fiscale, molti uffici federali responsabili di servizi non essenziali, saranno costretti a chiudere a causa della mancanza di finanziamenti. I repubblicani alla Camera hanno anche bocciato una legge che imponeva una tassa sulle apparecchiature mediche, necessaria al finanziamento dei programmi di assistenza sanitaria.
Il tetto del debito
Ma l’incombente ‘shutdown’, il primo in 17 anni, è solamente uno dei due gravi problemi che l’Amministrazione si trova a dover affrontare sul fronte fiscale. Entro il 17 ottobre occorrerà infatti giungere a una soluzione per innalzare il tetto del debito. In caso contrario, ha ammonito il presidente Obama, l’eventuale default degli Stati Uniti avrebbe “profondi effetti destabilizzanti” non solo per l’economia americana, ma per quella mondiale.
I costi del Sequestration
Ma per farsi un’idea del costo di un eventuale taglio al budget statunitense, basta studiare il trend dalla scorsa primavera. Un’analisi condotta dal Financial Times mostra le ripercussioni negative sull’economia dei tagli alla spesa pubblica, con il programma Sequestration, entrati in vigore a marzo. Il programma ha colpito i finanziamenti a centri di ricerca federali, messo alle porte dipendenti pubblici senza liquidazione e ridotto i programmi anti povertà così come i sussidi per la disoccupazione, i voucher per gli alloggi e la prima educazione. Secondo lo studio di Ft e del Center for Public Integrity di Washington, rispetto ai dati del 2010 il Sequestration, da marzo, è costato ad ogni americano circa 240 dollari. E la crisi si è abbattuta su Stati che avevano retto l’urto delle grandi tensioni economiche-finanziarie come Alaska, New Mexico, Kansas, Virginia e Georgia.
E lo shutodwn che si rischia con il voto di domani? Secondo gli economisti di Goldman Sachs potrebbe costare 8 miliardi di dollari a settimana. Due Imu a settimana, tanto per ricordarci di accordi che saltano e scadenze che si avvicinano, ma in salsa italiana.