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Acqua e Mezzogiorno tra fondi Ue e governace

Si è acceso in questi giorni il dibattito attorno all’impiego del nuovo ciclo dei Fondi Ue 2014 – 2020, pari a 28 miliardi complessivi, cui si aggiungerebbe – nelle intenzioni del Ministro Carlo Trigilia – la quota di cofinanziamento nazionale per pari importo. 56 miliardi in tutto, che il governo intende concentrare sulle infrastrutture immateriali, sul sostegno alle Pmi e sulla sostenibilità. Eppure, mentre si discute del nuovo ciclo di fondi, occorrerebbe non dimenticare che rimangono da spendere 30 miliardi entro il 2015, fondi previsti dal precedente ciclo 2007 – 2013.

Adolfo Spaziani – senior advisor di Federutility -, in un intervento pubblicato sul Sole 24 ore (12 settembre), ha richiamato l’attenzione sull’impiego di tali risorse, nella convinzione che “non solo sono le poche a disposizione, ma che rappresentano una straordinaria occasione di rilancio economico e sociale”. Esse si rivolgono in particolare al recupero del gap infrastrutturale del Mezzogiorno e se ne suggerisce un impiego in chiave ambientale.
Federutility denuncia da tempo i ritardi ormai decennali nell’ammodernamento dei servizi idrici. Nel Mezzogiorno solo alcuni territori hanno livelli qualitativi adeguati e comparabili al resto del Paese. Se la media nazionale delle perdite di rete registrata dall’Istat è pari al 32%, in Puglia è del 46%, contro una media Ue del 13%. Se il 30% della popolazione italiana non è coperto da depurazione dei reflui, in Sicilia si raggiunge il 47%. La Corte di Giustizia Europea nel 2012 ha condannato l’Italia per inadempienza della Direttiva sul trattamento dei reflui (Dir. 91/271/cee), evidenziando che 229 agglomerati urbani sono privi di depuratori; di questi 206 sono nel Mezzogiorno.

Per Spaziani “gli investimenti infrastrutturali in campo idraulico e ambientale potrebbero svolgere quell’azione anticiclica di cui il Mezzogiorno necessita, con impatti occupazionali immediati e con positivi risvolti di riqualificazione ambientale”. Costruire reti fognarie, depuratori, sistemi di riuso e risparmio idrico consentirebbe infatti di occupare decine di migliaia di lavoratori, investire in un comparto – quello dell’ingegneria idraulica – nel quale registriamo eccellenze industriali e gestionali nazionali. Significa inoltre recuperare un gap infrastrutturale e soprattutto ambientale che sempre più è diventato e diventerà elemento strutturale nella valutazione della qualità della vita e della capacità di attrazione di risorse per investimenti. Affatto secondario anche l’impatto economico nel comparto turistico se il nostro Mezzogiorno potesse vantare l’eccellenza ambientale che quei territori meritano.

Eppure, non tutti i mali vengono dalla disponibilità di fondi o dalla capacità di spesa. Un tema altrettanto importante è quello relativo alla governance del sistema. Se la legge nazionale (Dl. 2/2010) ha previsto la cancellazione delle Ato (le Assemblee dei sindaci che governano il sistema e affidano il servizio) e la definizione di nuovi soggetti pubblici regolatori, soltanto Puglia, Basilicata e Sardegna hanno deliberato, scegliendo l’Ato unico regionale e assegnando la gestione del servizio ad un unico operatore (rispettivamente Acquedotto Pugliese, Acquedotto Lucano, Abbanoa). In Campania, i 4 Ato presenti sono stati commissariati, in attesa dell’approvazione della legge regionale che che dovrebbe prevedere l’istituzione di un’unica Ato. In Calabria, l’Ato regionale è stata assorbita dall’ente Regione, ma i Piani d’Ambito (ovvero le ricognizioni e il piano investimenti) sono tutti antecedenti al 2002. Qui, il servizio idrico è molto frammentato, con livelli di morosità nel servizio altissimi. In Sicilia, le 9 Ato presenti sono tutte commissariate, in attesa dell’approvazione della nuova legge regionale che dovrebbe prevedere la nascita di un Ambito unico regionale. Il servizio è stato affidato a Palermo, Catania, Agrigento, Caltanissetta, Enna e Siracusa, mentre negli Ato di Messina, Ragusa e Trapani non è ancora stato assegnato.

In generale, poi, nel Mezzogiorno si segnalano criticità nel sistema dei rapporti istituzionali e/o contrattuali tra Ato e gestore, in particolare per il mancato conferimento al gestore delle infrastrutture per l’esercizio del servizio (previsto per legge).
Appare evidente, dunque, che il rilancio del Mezzogiorno e del suo territorio in chiave di riqualificazione ambientale necessità di investimenti, di efficienza nella governance e dell’attenzione dell’opinione pubblica.

“Dissetare il Mezzogiorno” sarà uno dei temi al centro del Festival dell’Acqua (L’Aquila 7 ottobre)

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