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Barilla tra errori e genuinità

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento del manager e scrittore Riccardo Ruggeri uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Non avendone parlato, neppure nei miei tweet, alcuni lettori mi hanno invitato a prendere posizione sulla vicenda Barilla-Mondo Gay, con un certo tono di sfida, come se io avessi difficoltà a dire la mia su un tema come il «razzismo», inteso in senso lato. Figuriamoci, appartenendo, per storia personale e culturale, a una «minoranza» sono geneticamente predisposto a essere sempre «vicino» ai deboli e ai vessati: neri, gay, Ebrei, Baschi, Amish, Walser.
La nostra famiglia, lavorando da anni nel mondo della moda d’avanguardia, quindi in contatto stretto col mondo gay, considera questo un non problema, così come quello del colore della pelle. Per trasparenza, confesso un’unica nota di «razzismo», una tara giovanile con cui sono convissuto e convivo, che si è concentrato sulla squadra di calcio «a noi sociologicamente avversa».

Pur non conoscendo i fratelli Barilla (conoscevo superficialmente solo il padre), so molto dell’azienda, della loro professionalità, del modo spartano con cui fanno gli imprenditori, della loro interpretazione intelligente e riservata del concetto di solidarietà verso i più deboli, ne ho quindi grande considerazione. Di conseguenza, lo stupore è stato maggiore. Noi euro-americani viviamo un momento storico curioso, i rapporti interpersonali (fisici) sono in caduta libera, nel contempo abbiamo un disperato bisogno di comunicare. Per farlo, disponiamo di una tecnologia di potenza inusitata, purtroppo siamo spesso carenti di spessore culturale (essere andati a scuola, al limite essersi laureati, non significa automaticamente capire e vivere il mondo), quindi non sappiamo individuare i temi alti da dibattere, ci scanniamo su temi triti della bassa politica, del gossip, dello sport. Prendete un pubblico emblematico, quello dei talk show. Viene selezionato secondo il criterio imperante del politicamente corretto, osservatelo come applaude, come dissente, come si esprime, la miseria dei suoi processi logici, analizzate il suo linguaggio, troverete solo una sommatoria di slogan banali. Ebbene, quel pubblico siamo noi: personalmente mi vergogno per loro, ma come vecchio cittadino di una certa generazione so di aver fallito, non avendoli educati all’approfondimento, alla riflessione, al rispetto.

Guido Barilla ha fatto un errore manageriale grave. Nel contesto attuale un imprenditore (figura etichettata, in successione come: affamatore del popolo, evasore, detentore di capitali neri in paradisi fiscali, etc.) deve parlare in pubblico esclusivamente di business, aggiungo io soltanto una volta all’anno, in occasione del bilancio (come fa, da tempo immemorabile, il Ceo di Nestlè). Lui che è nel business dei beni di largo consumo dovrebbe sapere che la comunità gay mondiale vale sul mercato globale 1 trilione di dollari. La «pink money», che misura la capacità di acquisto dei gay, è in costante crescita, si pensi che è raddoppiata in 12 anni, in Italia vale 25 miliardi euro, solo per: abbigliamento, accessori, turismo.

Ad esempio, le società più customer oriented tipo Ikea (in Italia si difende bene anche Eataly, dello scaltro Farinetti) hanno capito da tempo il potenziale immenso del gay-market, e lo cavalcano. Quando arriveranno anche da noi i matrimoni gay si apriranno molte altre possibilità nell’hotelleria, nella ristorazione, nel catering, nella gioielleria, etc. Per non parlare dei Comuni che potranno fare business con i matrimoni gay, affittando location prestigiose, eventi chiavi in mano ad alto valore aggiunto. Per esempio, per noi del Toro, che pure siamo dei poveracci e anche politicamente scorretti, Fassino ha messo a disposizione il prato del Comunale, con curva debordante di nostri tifosi, per una coppia di ultras, che si è sposata giorni fa, scambiandosi impegni di perenne fedeltà, almeno alla maglia granata.

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