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Capitalismo intellettuale e analfabetismo finanziario/2

“Conoscenza e cultura: le uniche droghe in grado di generare indipendenza”
(Anonimo Dottore)

 

Le caratteristiche della bolla attuale hanno amplificato a rete la psicosi della crisi anche se, detto “brutalmente”, non esistono prodotti finanziari buoni o cattivi: esistono solo persone che ne fanno un uso migliore o peggiore rispetto a persone che ne sono più o meno consapevoli. Nel primo caso, è bene che i “regolatori” focalizzino provvedimenti preventivi e punitivi al fine di scoraggiarne l’uso scorretto. Ma il vero problema è quello dell’education finanziaria ed economica. Continuiamo a vivere aggrappati al paradigma del passato: la prevalenza dell’economia reale.

In realtà, il mondo è cambiato. Con quali strumenti pensiamo che si siano sviluppati ed abbiano capitalizzato le proprie imprese i Paesi emergenti del BRICS? Con quali strumenti pensiamo che si possano prendere i soldi del piccolo agricoltore del midwest americano o della campagna romana ed investirli a Shangai o a Mumbai, magari minimizzando i rischi? Quali mercati finanziano i debiti sovrani come il nostro o quello americano, le nostre PMI e quelle giapponesi, le imprese in crescita brasiliane o indiane? In un’economia globalizzata a rete con confini “logici” e non fisici, i mercati finanziari sono diventati molto più grandi dell’economia reale. Cito dal Sole 24 Ore, dati 2010: PIL Mondo pari a 74mila miliardi di dollari, mercato obbligazionario mondiale pari a 95mila miliardi di dollari, Borse di tutto il mondo (equity) 50mila miliardi, derivati 466mila miliardi di dollari. Tutti insieme (senza valute e quant’altro), i mercati finanziari sono otto volte più grandi del PIL, ovvero della ricchezza prodotta da industrie, agricoltura, servizi.

In sintesi: l’analfabetismo finanziario è la nuova forma di analfabetismo. E’ un po’ quello che è successo ai primi del ‘900 quando, durante il processo di industrializzazione, il cambiamento dei mercati rendeva progressivamente più intollerabile l’analfabetismo. Se sia era analfabeti era sempre più difficile guadagnare perché, con lo svuotamento dei campi e l’urbanizzazione, si aveva poco valore sul mercato come lavoratore. Gli stessi contadini si chiedevano: perché dobbiamo studiare? Noi dobbiamo solo lavorare la terra, non dobbiamo fare i letterati, non abbiamo bisogno di saper leggere e scrivere. Sappiamo bene com’è andata a finire…


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