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Ci è capitato in sorte il tempo della sigaretta e non quello della pipa

Purtroppo c’è capitato in sorte il tempo breve. Quello dell’economia e dell’economicità, dell’ergonomia, dell’efficacia e dell’efficienza. Dello scalping, dello spread e del mercato. Quello eternamente aperto.
Purtroppo c’è capitato in sorte il tempo cronometrato, suddiviso, frazionato, gantizzato, pianificato, programmato, schedulato. Il tempo del metodista.
Un tempo che, nel frattempo, ha fatto in tempo a dimagrire e diventare uno spiritello, anzi peggio, peggio ancora: un fantasma diafano ed etereo che ci appare solo grazie al controluce sotto le spoglie di una combinazione di anelli di fumo, quelli prodotti dalla sigaretta che si librano nell’aria caoticamente nella pausa omonima. Come un novello Perelà. Sigarette che poi fanno sempre più corte proprio per sottrarre tempo al tempo.

C’è capitato in sorte il tempo breve, quindi. Non facciamo in tempo a metterci seduti, noi e lui, davanti a un posacenere che lui, il tempo breve, svanisce nello stesso istante in cui una voce temporizzata ci richiama ad altro, lasciando che quegli anelli di fumo, che erano la spina dorsale del nostro fugace interlocutore, si spariglino, diradandosi in anelli di maggiore diametro e minore densità, alla mercé della turbolenza dei moti convettivi.

Un giorno, però, mi sono detto: – Basta ! – Voglio chiedere al tempo breve di allungare i nostri incontri –.
E così, una sera, depennato dall’agenda l’ultima voce dall’elenco degli obblighi, concluso l’ultimo appuntamento, esauditi tutti i desideri dei più piccoli che vengono sempre prima ma dopo tutto il resto, mi sono acceso una sigaretta e mi sono messo ad aspettarlo. Ad aspettare il tempo breve guardando fuori da dietro l’imposta. Niente. Di lui manco l’ombra. Dopo un po’, dopo aver dato la colpa della sua assenza all’eccessiva umidità di quella notte che rispondeva con boccate di nebbiolina a i miei ghirigori di fumo, dietro l’imposta, appannando completamente il vetro della finestra, me ne andai a dormire.

Ma non riuscivo a prendere sonno. Mi giravo e rigiravo nel letto. E pensavo come, non dormendo, sprecassi ore preziose di riposo che mi sarebbero state utili l’indomani nel corso della mia giornata temporizzata. E’ stato allora che un bagliore proveniente dal salone attirò la mia attenzione. C’era qualcuno. Non so se i bagliori fossero aumentati d’intensità, ma a me sembravano più forti, forse perché nei miei occhi i bastoncelli avevano appena dato il cambio ai coni per il turno di notte.
Mi alzai, quindi, e mi diressi verso il salone da dove provenivano degli scricchiolii, i guaiti dell’aria tra le fessure delle finestre, i lamenti dei solai in continuo assestamento. Nel salone c’era umanità in movimento. E io pensai che fosse opera sua, del tempo breve col quale speravo di intrattenermi per condividere con lui le mie perplessità su questo modo di intendere la vita moderna.

Sbuco di soppiatto in salone e al divano, seduto in quello che normalmente è il posto che occupo io, stava Topolino. Già, il pupazzetto famoso in tutto il mondo. E lui, Topolino, che mi stava aspettando, mi fissò e, vedendomi incerto per il troppo stupore, ruppe il silenzio e disse:
– Il tempo breve non aveva tempo di venire e ha mandato me al suo posto.
– Ah ecco. Balbettai.
– Se ho capito bene vorresti passare più tempo col tempo breve, è così?
– Sì, risposi.
– Posso contribuire con la mia esperienza alla discussione che ti arrovella. Sappi che di Topolino tu devi distinguere il Topolino, inteso come idea, il personaggio che poi sarei io, autentico proprio come Zio Walt voleva che fossi, dal fantoccio. Dall’icona, dal brand, dal veicolo di comunicazione e marketing che sta su cappellini e magliette, sulle tazzine della colazione.
Quello che capita a me non è poi tanto diverso da quello che accade a te e a ogni singolo essere umano. Ciascuno di noi è, infatti, fatto per metà da una sfera intima, personale e autentica e per il resto dalle tante, tantissime sfaccettature in cui bisogna dividersi per necessità. Le tante vesti in cui tutti quelli cui dobbiamo dare retta ci costringono a stare. La tristissima condizione dell’uomo moderno economicizzato.
Mentre io, in stoffa di peluche, immagine di comunicazione, sto sotto gli occhi di milioni di persone perché si compia l’ineluttabile e imprescindibile transazione economica che rappresenta il fine ultimo della mia presenza al mondo, in quello stesso momento io rappresento anche altro. Per quegli stessi milioni di bambini e, forse, anche per milioni di adulti rappresento e significo un’idea. Un mondo fantastico senza tempo, senza orologi e sveglie. Un mondo che non è un mercato, che è privo di tutte le paure, le idiosincrasie e di tutte quelle stupidaggini che fanno da sovrastrutture allo stato di necessità in cui versa l’uomo moderno. In questo mondo fantastico io e i miei amici, protagonisti di tante avventure, siamo felici perché sappiamo che nei nostri buffi comportamenti, nelle nostre buffe movenze, ogni bambino e ogni adulto possono proiettare il grottesco e le deformità della vita quotidiana con cui devono fare i conti. Noi viviamo lo spazio dove la linearità monotonica della vita reale può essere deformata a piacimento in mille iperboli.
– Quanto è vero, – faccio io che intanto mi ero messo seduto sulla poltrona di fronte a lui -. Quante volte ho pensato che l’ amministratore di condominio fosse Edgar, il cattivo maggiordomo degli Aristogatti. Allo stesso tempo mellifluo e ipocritamente servizievole. Come non pensare a quanto conforto può dare il pensiero che ai lupi, in cui nella vita reale ci capita di imbatterci, vada a finire come a quello dei tre porcellini. Col sedere bruciacchiato. Come non pensare che gli anziani, spesso dimenticati dalla società, possano essere almeno per un giorno come Re Tritone. Senza dentiera, armati per un favorevole contrappasso del tridente con cui scatenare la loro legittima rivalsa contro una società ingiusta che grazie ai poteri magici del tridente possono modificare a piacimento rendendola migliore.
– E’ il mondo della fantasia che ti restituisce il tempo di cui la vita reale ti priva. Ti da conforto perché nel nostro mondo la realtà si può plasmare a piacimento come la vogliamo.
Anziché fumare una sigaretta, fuma la pipa e vedrai come il fumo prodotto, più denso e profondo, sarà per te come per Geppetto il legno. Ci potrai costruire su un immaginario durevole nel tempo dotato della plasticità necessaria per farne qualunque forma.

Non è la violenza che scaturisce dalla frustrazione che ci potrà salvare, ma l’immaginazione. La capacità di essere dispari e non di fare il paio. L’intelligenza laterale e non la rima. Lo sparigliamento e non l’accodamento. La dissonanza, ma senza alzare mai la voce.
Si può essere critici raccontandosi la vita con la leggerezza e la bontà di “Totò il buono”, perfino costretti nella periferia della baraccopoli dove la classe dirigente dello stato perfetto e intransigente della città Aaa ci ha confinato.

Perché, solo nel mondo magico dell’immaginazione il tempo, almeno lì, continua a essere galantuomo.


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