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Cosa succede se crolla il regime della Corea del Nord

Il regime nordcoreano collasserà, forse tra mesi, forse tra anni. In ogni caso gli Stati Uniti, e la Corea del Sud, che hanno siglato oggi un accordo strategico di deterrenza contro la minaccia nucleare di Pyongyang,  sono impreparati a questa eventualità, si legge in un rapporto della Rand Corporation, che ricorda come il crollo accadde improvvisamente anche nel caso della Germania Est. Il caso nordcoreano rischia tuttavia di essere molto più pericoloso e disastroso, scrive Bruce Bennet.

L’eventualità che il regime di Pyongyang collassi è da tempo al centro delle discussioni di analisti ed esperti. La dinastia dei Kim è tuttavia riuscita a sopravvivere a due cambi di leadership.

Il governo nordcoreano, “ha mostrato segni di instabilità” e la maggioranza degli esperti “è concorde nel ritenere il collasso probabile”, ha spiegato l’autore nel sottolineare come ormai non sia più questione di “se” ma di “quando” questo succederà.

Tuttavia, negli stessi giorni in cui usciva il documento del centro di ricerca statunitense, la Banca Mondiale sottolineava la maggiore stabilità politica in Corea del Nord dall’ascesa al potere del giovane Kim Jong Un succeduto al padre Kim Jong Il, morto a dicembre del 2011. Un miglioramento degli indicatori del paese iniziato già nell’ultimo anno di vita del Caro Leader.

Gli scenari avanzati nell’analisi di Rand non escludono catastrofi umanitarie come avvenne con la carestia del 1990, conflitti civili, fino a spingersi a delineare il rischio di una guerra contro la Cina. In caso di crollo del regime, Washington e Seul dovranno intervenire, fosse soltanto per portare aiuti, ma senza escludere l’obiettivo della riunificazione della penisola. Qualsiasi piano non può lasciare fuori la Cina, con cui occorrerà trovare un accordo.

Il rapporto sottolinea le difficoltà economiche del Paese e la carenza di cibo, sebbene negli ultimi anni ci siano stati diversi resoconti sul miglioramento degli standard di vita, almeno nella capitale Pyongyang. Così come è da tenere in conto la reazione di settori del regime e i pericoli per la sicurezza con il rischio che esploda una guerra civile e con la necessità di mettere al sicuro le armi di distruzione di massa di cui i nordcoreani sono dotati, le quali, suggerisce lo studioso Andrei Lankov al Global Post, nel momento della disgregazione del Paese potrebbero finire sul mercato nero, assieme a scienziati disoccupati che potrebbero trovare nuovi datori di lavoro sia governativi – in particolare in Medio Oriente – sia nel settore privato.

Un nodo centrale sarà l’atteggiamento di Pechino. Come ricorda anche il rapporto, le preoccupazioni cinesi verso la dissoluzione del regime sono due: l’afflusso di profughi che andrebbero a ingrossare le file della minoranza coreana nella Repubblica popolare, e una Corea unificata su posizioni filostatunitensi.

Dal canto suo, proprio la Cina potrebbe annettere una parte del Nord o essere tentata dal creare una zona cuscinetto dove allestire campi per gli sfollati. L’ulteriore divisione della penisola sarebbe tuttavia uno smacco per i nazionalisti sudcoreani e per le aspirazioni di quella che è considerata una media potenza mondiale, nonché quarta economia dell’Asia.

Se in Cina c’è riluttanza a parlare dell’ipotetico crollo della Corea del Nord questo, continua Bannet, è legato soprattutto al timore di mostrarsi poco leali con l’alleato, contribuendo all’instabilità. L’ultimo anno, in particolare in risposta al test nucleare nordcoreano dello scorso febbraio, ha visto Pechino più dura con Pyongyang mentre all’interno della dirigenza sono messi in discussione i termini dell’alleanza con i Kim.

Di recente Pechino è stata vietata l’esportazione in Corea del Nord di merci e tecnologia che potrebbero essere usati nello sviluppo dei programmi nucleare e missilistico. Come scrive il Nautilus Institute, il divieto ha una doppia valenza: frenare i programmi e mandare un segnale a Stati Uniti, Corea del Sud e allo stesso Nord, lasciando a Pechino spazi di manovra.


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