Nelle ultime settimane la “macchina del fango” ha il motore su di giri. Le polemiche sui compensi esorbitanti di Fazio, le rivendicazioni di Brunetta sul pluralismo televisivo, i dossier anti-Renzi diffusi ai giornali da ambienti della vecchia nomenclatura diessina, gli attacchi del Giornale ai pidiellini filogovernativi, l’intervista alla bulgara Bonev durante l’ultima puntata di “Servizio Pubblico”. Ci sarebbero tanti altri esempi da fare, ma la sostanza è sempre la stessa: il giornalismo più influente non è più giornalismo, è propaganda faziosa, le notizie sono quasi scomparse, è rimasto solo il killeraggio contro il nemico da abbattere.
Nessuna delle principali testate, soprattutto cartacee, si sottrae a questo stantio cliché, che mina dalle fondamenta la credibilità dell’informazione. Molti giornalisti mostrano di non gradire quest’andazzo ma si adeguano, altri sembrano ben lieti di indossare l’elmetto e di combattere impavidamente battaglie politiche e personalistiche che nulla hanno a che fare con le regole deontologiche che si sono impegnati a osservare nella professione. Gli editori, sempre più in crisi (vedi la lenta agonia dei grandi gruppi come Rcs, Il Sole 24 ore, ecc.), utilizzano come sempre i media per finalità extraeditoriali, avendo rinunciato da tempo a investire fiducia e risorse in nuovi modelli di business editoriali. E la Rete incombe con nuove minacce, come quella rappresentata dallo strapotere,anche commerciale e pubblicitario, dei cosiddetti “over the top” come Google, Amazon, Facebook.
La tutela dei diritti di cittadini e imprese somiglia sempre più, quindi, a una zattera alla deriva. Come se ne esce? Difficile dettare ricette risolutive. Meglio indicare alcune strade praticabili: anzitutto più trasparenza nella gestione della Rai e un controllo più stringente da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sui contenuti faziosi di tg e talk show, anche di quelli trasmessi dalle tv private; un impegno maggiore dell’Ordine dei giornalisti nel valutare la condotta dei suoi iscritti e nell’aggiornarli sui loro doveri professionali; uno statuto delle imprese editoriali che impedisca posizioni dominanti e controlli da parte di poteri occulti; una scelta più meritocratica dei direttori delle testate, sulla base di curricula e prove di selezione; una maggiore valorizzazione dei giornalisti che escono dalle scuole e dai master post-laurea. Infine, banale ma mai sufficientemente richiamato, pieno rispetto delle leggi vigenti e delle regole che già esistono e che, se osservate con puntualità, potrebbero comunque impedire che il mondo dell’informazione si trasformi in una giungla.
(Il professore Ruben Razzante presenterà il suo volume “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione” (Cedam) lunedì 28 ottobre, dalle 17,30, presso il Circolo della stampa, in corso Venezia, 48, a Milano. A seguire si terrà un dibattito sul tema: “Sistema dei media e tutela dei diritti: nuove frontiere giuridiche e professionali nell’era digitale”)