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Francesco, un Papa che odora di pecore

Cosa pensare di un Papa che fa di Repubblica il nuovo organo di stampa della Santa Sede? Di un Papa le cui affermazioni giustificazioniste sembrano spesso sul limite estremo della dottrina? O che perlomeno dice cose che inevitabilmente si prestano a distorsioni e interpretazioni di comodo? Di un Papa che telefona a casa? Di un Papa che ha un successo così grande tra il pubblico più vasto da far temere che si diluisca e si perda l’essenza del messaggio? Di un Papa che (finalmente) riforma le gerarchie della Chiesa, ma lo fa in un modo da prestare il fianco alle strumentalizzazioni dei nemici, rischiando di disorientare i fedeli? Sarebbe ipocrita nascondersi che questi dubbi serpeggiano tra molti cattolici.

Io stesso non posso negare di sentire a pelle una sintonia minore che con i precedenti pontefici. Ci ho pensato su, e ho raggiunto una conclusione, che voglio condividere con chi è perplesso: meno male che ancora una volta lo Spirito Santo ha lavorato bene, meno male che ci ha dato Papa Francesco. Se penso a lui penso al buon pastore. Certo, non mi viene istintivo, lo ammetto, ma è una convinzione ancora più profonda perché maturata nella razionalità e nella fiducia. Francesco lo ha detto e lo sta mettendo in pratica: il pastore deve avere l’odore delle sue pecore. Francesco è il pastore che lascia le pecore tranquille nell’ovile ed esce a cercare la pecorella smarrita. E oggi di questo c’è bisogno.

Mi si permetta di mettere al bando la superbia ma anche il moralismo e la falsa umiltà. Diciamo superficialmente che mi posso considerare insieme ai fedeli come una pecora lasciata nell’ovile. Il pontificato di Ratzinger, Santo Padre, è stato fondamentale in questo, ha aiutato a rimettere ordine e punti fermi nella stalla. So di non essere un buon cristiano, di essere un peccatore, di non essere “migliore” degli altri uomini, ma posso dire che almeno sono uno che prova ad andare nella direzione giusta, che riconosce la guida della Chiesa.

Ecco, oggi forse è il momento che il pastore ci lasci nell’ovile, anche se questo può provocare qualche disagio e un po’ di insicurezza in parte del gregge. E che vada fuori, tra i rovi e i dirupi, a cercare le pecorelle smarrite. Anche perché la sensazione è che non sia uno solo l’animale in pericolo, ma che forse siamo in una situazione in cui un paio di pecorelle sono nell’ovile, e 98 fuori. E quindi è loro che il pastore deve cercare, è a loro che deve parlare. Anche a costo di usare un linguaggio che nell’ovile suona un po’ strano. Anche perché il messaggio vale comunque anche dentro l’ovile: occorre solo uno sforzo in più di comprensione.

Quel che dice il papa vale per tutti e deve spingerci comunque a un esame di coscienza, a fare di più e meglio, a non sentirci chiusi e soddisfatti. Anche noi dobbiamo essere smossi, e se siamo un gradino più avanti nella fede e nella dottrina, dobbiamo fare molti passi nella carità. Vale la parabola del figliol prodigo: rallegrati perché tuo fratello era perduto e ora è tornato. Tu non devi vivere nell’ovile da servo, ma davvero ti devi sentire figlio: quello che è mio è a tua disposizione, non chiudere il cuore. Anche se a volte serve uno sforzo di umiltà in più da parte nostra, ringraziamo Dio per aver donato a questi tempi Papa Francesco.

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