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Gentile Barbareschi non è Adriano Olivetti il dimenticato

Parlare di Adriano Olivetti è sempre una buona notizia. E la fiction di Rai 1, in due puntate, ha certamente permesso di far arrivare questa storia, positiva e straordinaria, a un gran numero di persone. A quel pubblico meno attento, se vogliamo, che ha la sfortuna di non essere stimolato abbastanza per approfondire.
Ricordare Adriano Olivetti, anche attraverso una lettura romanzata, ci auguriamo possa contribuire a far germogliare qualcuno dei tanti semi positivi che l’esperienza eporediese ha gettato. Primo fra tutti quello che l’Ing.Tchou (a poco più di trent’anni responsabile della divisione elettronica dell’Olivetti a Barbacino in provincia di Pisa) aveva riassunto più o meno così: “L’Olivetti guardava sempre al futuro e si affidava ai giovani. A coloro che sono animati da grandissimo entusiasmo, coloro che non sono ancora inquinati dalle sovrastrutture degli avanzamenti di carriera, del barcamenarsi in azienda schivando i rischi di un progetto troppo innovativo. I giovani che approcciano il lavoro senza essere consuetudinari”. Senza essere c o n s u e t u d i n a r i.
E poi certamente quella capacità di arricchire di valore un bene manufatturiero con tutte quelle componenti immateriali (design, estetica). Una capacità che fece crescere la marginalità dell’Olivetti e che poté svilupparsi perché Adriano Olivetti seppe circondarsi delle migliori eccellenze dell’epoca in tutti i settori della cultura. Persone diversissime ed eclettiche. Persone capaci di fare di un prodotto un prodotto ampliato.

La cosa che ci è piaciuta meno della fiction è l’interpretazione di Luca Zingaretti. Zingaretti non è stato credibile perché è l’attore che si prepara per un personaggio facendosi la seguente domanda: “Come sarei se fossi Olivetti ?”. Il modo peggiore.
E’ solo rileggendo la storia, conoscendola profondamente, che si può interpretare un personaggio così poliedrico, così complesso e difficile come Adriano Olivetti.
Per rappresentare attraverso l’espressione del volto, la modulazione della voce, la profondità degli sguardi, per dare un’anima al sentire del personaggio che si deve interpretare bisognerebbe essere capaci di descrivere, come fosse un identikit, quelle molteplici sfumature che nell’arco di una vita hanno animato l’impasto adamitico del personaggio. Ma questa capacità si è smarrita a causa di questa maledetta modernità che ci ha recintato nella limitatezza delle categorie “buono – cattivo” / “bello brutto” da periodico da pochi spiccioli, nella limitatezza dei tweet e nella superficialità dei post su facebook. I nostri nonni, con meno scuola di noi, erano capaci di descrizione più ricche, avevano dalla loro la capacità di connotare un volto ricorrendo all’analogia animale, quella totemica e universale. Che era poi il sentire sotterraneo, irrazionale, folle se volete, di Adriano che da un gesto, che già sull’epitelio dell’epidermide registrava la vibrazione positiva che gli faceva preferire un candidato anziché un altro.

Barbareschi in una delle dichiarazioni che hanno preceduto la messa in onda della fiction da lui prodotta ha detto: “È vergognoso che il nostro Paese abbia dimenticato Olivetti. E’ stato come Steve Jobs: vedeva il futuro, aveva capito le potenzialità del digitale. Invece siamo stati servi sciocchi di Agnelli, un evasore fiscale che ha devastato l’Italia. È il film più bello che abbia mai fatto per la tv”.
Mi permetto di correggerlo. Olivetti non è stato dimenticato. A Torino, Laura Curino, attrice bravissima, da molti anni porta in scena, con la regia di Gabriele Vacis, due spettacoli teatrali su Camillo e Adriano che fanno rivivere, con quella capacità di suggestione che solo il teatro sa dare, la parabola straordinaria dell’imprenditore canavesano. Proprio qualche anno fa, nel 2008, in occasione del centenario della Fondazione Adriano Olivetti a Torino e Milano si sono tenuti un ciclo di incontri e di conferenze che continuano a mantenere vivo il ricordo di quell’esperienza.
Detto questo se Barbareschi vuol proprio recuperare una storia d’impresa di un eccellente interprete del capitalismo italiano, veramente dimenticato, e vuole far torto agli Agnelli non ha che da parlare di Riccardo Gualino. Mi contatti pure che gli racconto la storia.

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