Il sonno della democrazia ebbe inizio nell’ottobre 1993 con quell’originario sacrificio collettivo cui i parlamentari italiani (esattamente 525 deputati e 224 senatori) ricorsero infierendo sadicamente su se stessi abolendo l’immunità pensando di fare dispetto a Bettino Craxi, che una maggioranza eterogenea aveva temporaneamente salvato dalle grinfie di Mani Pulite. Da quel momento il garantismo – un principio dello Stato di diritto per fronteggiare gli abusi di potere – scomparve. Dando via libera al giustizialismo: non una virtù teologale, bensì il principio stesso di intemperanza, intolleranza, viltà.
Da quel giorno infausto, le strategie giudiziarie dilagarono; s’impossessarono dei gangli parlamentari; imposero i loro veti e il principio di giustizia creativa, che esulava dai codici ed inventava reati incomprensibili e tuttavia cogenti, da rispettare in obbediente silenzio. La democrazia s’addormentò impotente, cloroformizzata, annichilita. L’ordine giudiziario, fattosi da tempo (incostituzionalmente) potere, sovvertì – con la connivenza di troppi parlamentari analfabeti di diritto e sensibili solo all’emozione – persino le procedure. Cioè le regole sulle quali si era usato per decenni coesistere in assemblee rappresentative variopinte, in sintonia con la realtà plurale politica e sociale del paese.
Purtroppo, malgrado autorevoli stimoli esterni, vi sono forze – in testa un Pd in preda a narcosi democratica permanente – incapaci di risvegliarsi da quel sonno così profondo che non provoca neppure incubi che possano farle sobbalzarle e riportarle alla coscienza. I prossimi giorni potrebbero risultare ancora più drammatici di quelli che stiamo vivendo incoscientemente.