In conclusione, dopo una settimana di dichiarazioni frutto più della rabbia e della frustrazione che del buon senso, non è cambiato nulla, o forse qualcosina sì.
Letta incassa i voti per la fiducia al Senato – quindi la prenderà anche alla Camera – compresi quelli di Berlusconi e del suo partito. Non ci sono azioni teatrali o dichiarazioni di guerra da parte del Cavaliere che, dopo una mattinata di accesi confronti con i suoi, prende la parola e conferma il suo appoggio, seppur con mille travagli, all’esecutivo. E Letta, evidentemente sorpreso, si lascia fuggire un solo commento “E’ un grande”.
Persino il capogruppo del Pd, Zanda, è colto di sorpresa ed inizia il suo intervento senza rendersi conto che le sue parole risultano illogiche e slegate rispetto a chi lo ha preceduto: si rivolge a Berlusconi come se questi avesse negato la fiducia, non avendo ancora realizzato che sta parlando a un alleato di governo.
Nel mentre, Formigoni è alla ricerca di quella ribalta che ha perso da quando non è più il governatore della Lombardia nell’annunciare la prossima nascita di un gruppo autonomo. Vedremo come giustificherà ora la sua azione ed è facile prevederne l’oblio.
Cosa resta di una mattinata convulsa e certamente tafazziana se la inquadriamo nella situazione in si trova il Paese? Il Governo può ancora lavorare, ma Letta si ritrova in una posizione più debole avendo un Berlusconi che è riuscito a trasformare quella che sembrava una sconfitta in una vittoria.
Aspettiamoci pagine ed apparizioni televisive – almeno fino al 15 ottobre – dove il Cavaliere Viagra martire ribadirà di aver anteposto gli interessi del Paese ai propri, ovvero di essersi sacrificato ancora una volta come fece nel 2011 quando si dimise pur avendo ancora una, seppur stringata, maggioranza in Parlamento.
Vero o falso che sia, poco importa. Di fatto, la mossa di Berlusconi rimette la palla nel campo del Pd, i cui esponenti sono apparsi paradossalmente delusi, quasi che desiderassero il voto di sfiducia. Blocca gli appetiti di un soporifero quanto politicamente ottuso Monti che già si vedeva pronto per un facile shopping di senatori e deputati, costringendo poi gli eventuali scissionisti a trovare delle plausibili giustificazioni nei confronti dell’elettorato di centrodestra.
Nel contempo, mette anche in un angolo il sindaco toscano che, alla prova dei fatti, sembra oramai avvezzo a sbagliare i rigori. Non solo, ma si ritaglia gli spazi per una azione di pungolo ancor più decisa della sua nuova Forza Italia nei confronti delle azioni del governo in direzione dei tagli di spesa, diminuzione delle tasse, cuneo fiscale e così via. Temi caldi e origine di consenso elettorale.
Per uno che era dato per spacciato e tradito dai suoi, direi non è male. E se dovessimo trarre un insegnamento dall’inutile pantomima della mattinata vissuta al Senato, non potrebbe essere diverso da quello che, seppur consapevoli che il vecchio centrodestra è ovviamente finito per questioni anagrafiche e personali di Silvio Berlusconi, il nuovo non potrà prescindere da un suo imprimatur, un assenso seppur dichiarato dal confino di Arcore o Roma e non dagli scranni del Parlamento.