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Non solo Giornale, ecco i veri punti di attrito tra Fitto e Alfano

Perché aspettare il consiglio nazionale dell’8 dicembre quando si può discutere (e decidere) prima? Il capo dei lealisti Raffaele Fitto abbandona i panni del tattico di stretta scuola Dc e spinge il pedale dell’acceleratore chiedendo ufficialmente all’ex segretario del Pdl Angelino Alfano di sciogliere i nodi e di essere franchi. Una richiesta che, più di dichiarazioni, fughe in avanti e polemiche da bassa cucina, incarna il vero punto di attrito tra le due fazioni interne al Pdl.

Attendismo e movimentismo
Il 9 marzo del 1992 Arnaldo Forlani vestì i panni del “pompiere” dopo la strigliata rivolta agli alleati durante il consiglio nazionale. E disse: “Dobbiamo migliorare l’edificio, rendere più solida ed accogliente la casa, non demolirla o sfasciarla”. Un parallelo che secondo un vecchio dirigente della Prima Repubblica potrebbe calzare a pennello per il vicepremier, “intanto a tastare prima il mattoncino bianco e immediatamente dopo quello nero, in un perfetto equilibrismo che però non risolve il caso”. Perché al di là delle richieste ufficiali dell’una e dell’altra parte, la sensazione è che chi si aggiudicherà questa manches non correrà poi il rischio di essere politicamente spazzato via.

Alfaniani e stabilità
Come anticipato su queste colonne, nella cena di ieri a Palazzo Grazioli il Cavaliere ha lanciato l’ultima scialuppa di salvataggio al ministro dell’Interno. In caso di decadenza da senatore “posso contare sul vostro passo indietro dal governo?”. Una domanda (formale), ma una richiesta (oggettiva) che si è scontrata con la realtà, magari smussata nell’ultima settimana di lanci di agenzie e incontri carbonari: ma che resta immutata e solida. Gli alfaniani chiedono l’epurazione dei falchi (compreso un cambio al vertice della direzione del Giornale, considerato la prima pietra per tornare al dialogo), l’appoggio incondizionato al governo come da rassicurazioni che un ministro ha fatto direttamente al Capo dello Stato, la riunificazione delle anime popolari e moderate che possano essere accolte dalla grande famiglia europea del Ppe. Ma trasformando il Pdl-Fi in una cosa che non è nel suo dna, e forze non lo sarà mai.

Fittiani e azione
Già l’epiteto di “lealisti” aveva dimostrato come la tattica di Raffaele Fitto andasse al di là di incontri vis a vis con il capo o di convocazioni al caminetto di Arcore del lunedì. Non solo una mera conta di chi da qualche settimana è ammesso a conversare con il Cavaliere e chi invece ragiona con lui ad ampie falcate. Ma una nuova immagine dirigenziale, che svesta ufficialmente i panni dei falchi tutti dediti al “no” aprioristico e punga nel merito, ad esempio sulla legge di stabilità piuttosto che sempre e solo sull’Imu. Il ponte programmatico tra Fitto e il capogruppo Brunetta non si vede ma c’è ed è testimoniato dalla doppia tenaglia che stanno stringendo attorno ad Alfano: un’azione di critica nel merito dei singoli dispositivi del governo (per il tramite della Free foundation di Brunetta che tra l’altro sul Foglio dedica due paginone al Cav.) ed una strettamente politica, con la richiesta che si faccia chiarezza: o gli alfaniani danno seguito ai propositi pro Berlusconi e si attengono alla decisione di ri-fare Forza Italia, o cambino aria. Tanto, è la vulgata che viene dal Salento, a tentare “il salto della quaglia ci hanno già pensato altri prima di Alfano, con i risultati che conosciamo”. E quando, ad esempio, il senatore Altero Matteoli (politico di lungo corso, aennino sì ma tattico anche) ha messo l’accento in una tavola rotonda pochi giorni fa sul fatto che “il cambiamento va guadagnato con la meritocrazia”, ha fornito la risposta che tutti si attendevano. Parlano e parleranno solo i voti, così come un altro berlusconiano pragmatico come l’ex governatore liberale del Veneto Giancarlo Galan va ripetendo da tempo.

Cade l’alfiere?
Quando Fitto dice che il “Pd rischia di segare il ramo dove è seduto il premier” parla a nuora perché suocera intenda. Quello, secondo alcune ricostruzioni, è niente altro che un messaggio ad Alfano. Nessuno a Palazzo Grazioli ha dimenticato il cinque che vicepremier e Letta si sono scambiati in quel pomeriggio del 2 ottobre scorso, quando Silvio Berlusconi in persona ha capito che la questione non si sarebbe potuta risolvere con una marcia indietro né tantomeno con una mossa di attacco “vecchio stile” come in occasione della rottura finiana. Qui la partita è più ampia, dal momento che i due maggiori partiti (Pd e Pdl-non ancora completamente Fi) stanno scontando entrambi un crollo dei consensi certificato dai territori più che dai sondaggi. Ragion per cui il timore, oggi, che serpeggia in entrambi i quartier generali è che ad aggiudicarsi il banco possa essere nuovamente Beppe Grillo o il non voto nudo e crudo. A meno che si sottragga la golden share della protesta al comico genovese. Non a caso qualcuno dà conto di un contatto tra il cavaliere e il giurista-nuovo guru Paolo Becchi, assiduo frequentatore del blog grillino in qualità di autore.

Approdo popolare
“Basta frequentare un po’ di gente fuori dal palazzo – osserva l’eurodeputato del Ppe Potito Salatto – per riscontrare il disorientamento di un centrodestra che ormai è completamente acefalo. Verrebbe voglia di chiedere a quanti si ostinano a difendere l’indifendibile ‘Sdraiatevi e parlateci della vostra infanzia’. Forse riusciremmo a capirci qualcosa per il bene dell’Italia!”. Ecco il mantra tanto caro agli alfaniani: perché se è vero come è vero che dai destini giudiziari del cav. dipenderanno poi quelli dell’esecutivo, il timore di essere oltremodo puniti dall’elettorato per una non celata Berlusconi-dipendenza è il vero spettro che il vicepremier vede quotidianamente dinanzi a sè: E che democristianamente intende bypassare replicando, senza se e senza ma, il voto di fiducia dello scorso 2 ottobre. Costi quel che costi.

twitter@FDepalo

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